di Gianluca Chiesa
Nel 1978, grazie all’iniziativa di Vittorio Filippo Guidano, Giovanni Liotti, Mario Antonio Reda, Francesco Mancini, Gabriele Chiari e Georgianna Gladys Gardner, nasce a Roma, in via degli Scipioni 245, il “Centro di Psicoterapia Comportamentale”, sede storica che, nei primi anni Ottanta, trasformerà il nome in “Primo Centro di Terapia Cognitiva”. Francesco Mancini, Maurizio Dodet, Toni Fenelli, Georgianna Gladys Gardner, Mario Antonio Reda, e altri soci del “Primo Centro di Terapia Cognitiva”, ai quali si aggiunse, successivamente, Francesca Righi, fondano, nel 1992, l’Associazione di Psicoterapia Cognitiva (Apc), istituzione a cui afferiscono i diversi centri di terapia cognitiva romani.
Il percorso che porta alla costituzione della “Scuola romana di psicoterapia cognitiva” ha inizio alla fine degli anni Sessanta, quando all’interno dell’Istituto di Psichiatria dell’Università “La Sapienza” di Roma, diretto da Giancarlo Reda, si forma, attorno a Vittorio Filippo Guidano e Giovanni Liotti, un gruppo di specializzandi che inizia ad interessarsi in modo sistematico allo studio e all’applicazione clinica di quell’“approccio globale che si poneva come un tentativo di revisione scientifica della psicoterapia breve sulla base dei principi dell’apprendimento e dei risultati della psicologia sperimentale” (Sanavio, 1981) definito Terapia del Comportamento (Behaviour Therapy)[1]. Questo orientamento, essendo fondato sui criteri epistemologici del Neopositivismo logico, elaborati dal “Circolo di Vienna”, e dell’Operazionismo di Percy Williams Bridgman, sembrava consentire lo sviluppo di un percorso di ricerca clinica, sul funzionamento normale e patologico dell’individuo, che fosse coerente con la metodologia delle scienze più evolute e in linea con i presupposti della moderna filosofia della scienza.
Nella prospettiva del gruppo che stava nascendo l’adesione a questa “nuova” forma di psicoterapia e l’adozione delle tecniche della Behaviour Therapy veniva concepita come un primo tentativo di utilizzare i dati della psicologia sperimentale in rapporto alla prassi terapeutica e, quindi, come la fase iniziale di un ampio progetto culturale: costruire un approccio psicoterapeutico basato sul collegamento e sull’interscambio fra la ricerca di base, da una parte, e le applicazioni cliniche, dall’altra. Tale impostazione non implicava l’assunzione “rigida” degli assiomi su cui si basava il Comportamentismo e aveva come conseguenza la formulazione di un impianto teorico con una struttura “aperta” in grado di recepire e assimilare idee e concezioni, validate empiricamente, che avrebbero contribuito ad incrementare la conoscenza della psicopatologia e dato un significativo apporto allo sviluppo della psicoterapia.
Nel 1971 iniziano i primi contatti con Victor Meyer, uno dei massimi esponenti della scuola britannica di Behaviour Therapy. Meyer svolgeva la sua attività professionale nell’ambito dell’Academic Department of Psychiatry del Middlesex Hospital Medical School di Londra, dipartimento in cui si dedicava sia alla pratica clinica, come membro e supervisore di un team di psicoterapeuti, che al lavoro didattico con gli allievi e gli specializzandi. Nell’estate del 1972, Meyer viene invitato all’Università di Roma per tenere, presso l’“Unità esterna di psichiatria”, una lezione dal titolo “La terapia del comportamento nella clinica psichiatrica”. Da quel momento egli diventa, per alcuni anni, per i componenti del nucleo romano, un punto di riferimento per i training di Terapia del comportamento.
In seguito alla formazione di questo nucleo legato alla Behaviour Therapy, il 30 dicembre del 1972 viene costituita, a Roma, da Guidano e Liotti, la Società Italiana di Terapia del Comportamento (Sitc)[2]. E’ nell’ambito di questa Associazione scientifica e grazie all’attività teorica e terapeutica dei suoi appartenenti che si sviluppa in Italia il Cognitivismo clinico.
Otre ai due fondatori, i membri operativi furono Lucio Sibilia e Stefania Borgo, i quali nel 1970 avevano iniziato a frequentare la “Sezione di Psicologia clinica”, che era stata creata all’interno dell’Istituto di Psichiatria, nel corso degli anni Sessanta, da Paolo Pancheri, dove si svolgevano attività ambulatoriali con l’impiego di test e l’applicazione di studi di statistica psicometrica.
L‘anno successivo (1973), vengono organizzati i “Corsi liberi di terapia del comportamento”, iniziativa didattica che consisteva in una serie di incontri di aggiornamento sulle evoluzioni cliniche della Behaviour Therapy. Grazie a questa attività formativa attorno a Guidano e Liotti si crea un gruppo sempre più numeroso nel quale entrarono, nel corso del tempo e in periodi diversi, altri frequentatori dell’Istituto di Psichiatria, in particolare: Mario Antonio Reda, che, nel 1973, inizia la specialità, entrando a far parte della Società appena istituita, e, successivamente, con la sua attività di docenza all’Università di Cagliari e all’Università di Siena e attraverso numerose pubblicazioni, svolgerà un ruolo importante nella diffusione del Cognitivismo in Italia; Roberto Mosticoni che rimarrà fedele all’orientamento comportamentale anche quando gli altri aderenti alla Sitc modificheranno nella direzione cognitivista la propria impostazione terapeutica.
Nell’ estate del 1974 una delegazione della Sitc, viene invitata a Londra per partecipare al “II Congresso dell’European Association for Behavioural Therapy” (Eabt)[3]. In quella occasione vengono presentate, per la prima volta in un consesso europeo, alcune relazioni del gruppo romano, inoltre, i rappresentanti italiani chiedono ed ottengono formalmente di essere ammessi a questa Associazione che iniziava a costituire il punto di riferimento delle Società nazionali, del vecchio Continente, che si richiamavano alla Psicoterapia comportamentale.
Nel corso degli anni Sessanta, con lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, la psicologia sperimentale aveva spostato l’asse della ricerca passando dallo studio del comportamento all’analisi dei processi psichici coinvolti nell’elaborazione delle informazioni. Questo viraggio innesca un cambiamento nella direzione “mentalista” della metapsicologia comportamentista, e, sul versante clinico, consente, intorno alla metà degli anni Settanta, la diffusione di concezioni associazionistiche nelle quali venivano introdotte anche variabili “cognitive”[4]. Tale evoluzione teorica, nella direzione cognitivista, determinò la prima significativa divaricazione interna alla “Scuola romana” che, proprio in quel periodo, prese due direzioni distinte e differenziate, cominciando a delinearsi in alcune delle sue componenti principali.
Seguendo l’ampliamento progressivo e “lineare”, in termini cognitivisti, della Behaviour Therapy, annunciato da Donald Meichenbaum, dal Psychology Department University of Waterloo, nell’Ontario in Canada, con una Newsletter dell’aprile del 1975, con le parole “Behavior therapy, as psychology in general, is going cognitive”, Sibilia e Borgo, rimanendo sotto l’“influenza” di Meyer, adottano l’approccio Cognitivo – Comportamentale, orientamento che ha rielaborato le tecniche della Terapia del Comportamento inserendo varianti di tipo cognitivo. Essi fonderanno a Roma, nel 1985, il Centro per la Ricerca in Psicoterapia (Crp).
Nonostante l’efficacia clinica dimostrata dalla Behaviour Therapy, Guidano e Liotti, in quella fase, insoddisfatti del limitato potere esplicativo dei modelli teorici fondati sui principi dell’apprendimento, iniziano a prendere le distanze dalla Terapia del comportamento ed essendo alla ricerca di prospettive concettuali che consentissero di “spiegare” l’origine della psicopatologia si avvicinano alla Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby.
Nel 1974, in seguito alla lettura di “Attachment and loss” (Attaccamento e perdita), il primo volume delle tre opere in cui è contenuto il lavoro dello psicoanalista inglese, Guidano e Liotti, attivano una comunicazione epistolare con l’autore relativamente ad alcune idee, suggerite dalla loro esperienza clinica, sull’esordio dell’agorafobia che sembravano compatibili con quanto veniva sostenuto in quel libro. Questi contatti e la conoscenza diretta di Bowlby, avvenuta in occasione di una conferenza del clinico britannico all’Università cattolica di Roma, accrescono l’interesse di Guidano e Liotti per la Teoria dell’Attaccamento che, del tutto peculiarmente rispetto alla Terapia Razionale Emotiva di Albert Ellis (1962) e alla Terapia Cognitiva Standard di Aaron Beck[5] (1976), assumerà progressivamente un ruolo centrale nelle teorizzazioni dei terapeuti cognitivi romani.
In quel periodo, il nucleo romano della Sitc si allarga ulteriormente, grazie all’ingresso nella Società di un gruppo di frequentatori dell’Istituto di Psichiatria.
Nel 1974 Cesare De Silvestri dopo, aver vissuto per molti anni nei paesi anglosassoni ed essersi formato, con Albert Ellis, all’Istituito di Terapia Razionale Emotiva di New York, si stabilisce a Roma e, durante la seconda metà degli anni Settanta, fonda nella capitale, con Carola Schimmelpfennig, anch’essa allieva diretta di Ellis, l’“Institute for Rational-Emotive Therapy – Italy” divenendo il punto di riferimento della Terapia Razionale Emotiva all’interno della Sitc. Il nome dell’Istituto, seguendo le trasformazioni della sede centrale di New York, è divenuto successivamente “Institute for Rational-Emotive Behaviour Therapy – Italy” e, infine, “Albert Ellis Institute – Italy”. De Silvestri, nel 1981, pubblicherà, presso Astrolabio, “I fondamenti della Terapia Razionale Emotiva”, la prima opera in italiano sui fondamenti teorici e clinici di questo orientamento cognitivista e, nello stesso anno, organizzerà, nella capitale, il primo training formativo a San Martino al Cimino.
Sempre nel 1974, Francesco Mancini, studente del quinto anno di Medicina, entra all’Istituto di Psichiatria, per effettuare il tirocinio e preparare la tesi. Al conseguimento della Laurea, egli prosegue i suoi studi come specializzando in Neuropsichiatria infantile.
Nel 1975, Antonio Semerari, Sandra Sassaroli e Gabriele Chiari si iscrivono al corso di specializzazione in Psichiatria. Essi all’interno delle attività di studio che si svolgevano nella “Sezione di Psicologia clinica” entrano in contatto con Georgianna Gladys Gardner.
Nel 1976, Guidano e Liotti attivano i primi training in psicoterapia e a questi corsi si iscrive anche Maria Laura Nuzzo.
Nel 1977 i rappresentanti del Direttivo della Sitc incontrano, a Lavagna, in Liguria, diversi esponenti del nucleo che avrebbe, nel corso di quello stesso anno, costituito a Verona l’Associazione di Analisi e Modificazione del Comportamento (Aiamc). Questa società nacque dall’iniziativa dei gruppi che si erano formati a Milano, attorno ad Ettore Caracciolo e Gian Franco Goldwurm, nell’internato dell’Istituto di Psicologia clinica della Facoltà Medica, e a Padova, per opera di Paolo Meazzini[6], nell’ambito del corso di studi in Psicologia, ai quali si collegarono il nucleo romano che faceva riferimento ad Antonino Tamburello, che aveva fondato nel 1974, con Marisa Felciotti Seppecher, l’Istituto Skinner, e altri comportamentisti che avevano iniziato la loro attività a Firenze e a Genova (Sanavio, 1991).
Nonostante l’obiettivo di non frammentare il panorama istituzionale della terapia comportamentale, attraverso la costituzione di un’altra aggregazione scientifica che avesse delle affinità teoriche con la Sitc, in quella occasione non venne raggiunta una convergenza poiché le intenzioni dei futuri aderenti all’Aiamc, erano quelle di effettuare una scelta “strettamente” comportamentista, di orientarsi alla versione Skinneriana della Psicologia del comportamento e di spaziare non soltanto nell’ambito propriamente clinico, ma anche in settori diversi come quello della psicologia scolastica e dell’educazione normale e speciale.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta si consolida lo sviluppo della “Scienza cognitiva”, un nuovo approccio allo studio della mente, che utilizzava l’apporto multidisciplinare e integrato della psicologia, della filosofia, della linguistica, dell’antropologia, della neuroscienza e dell’intelligenza artificiale e che consentiva di avvalersi delle conoscenze di questo insieme di discipline nella ricerca sperimentale sul funzionamento psichico[7]. In quella fase, tra i componenti del nucleo romano della Sitc, si diffuse una forte tensione verso il cambiamento dei presupposti di base della teoria clinica generale fino a quel momento adottata. Così, con l’intento di contribuire ad una “rivoluzione” teorica e ad un “salto” di paradigma, si intensifica il dibattito epistemologico interno e si accresce l’interesse per il superamento del quadro concettuale di tipo associazionistico e per la costruzione di una prospettiva che analizzasse il ruolo dell’attività mentale nei meccanismi di apprendimento e delineasse l’influenza dei processi conoscitivi sul comportamento individuale.
Nel 1979 Mancini legge “New Perspectives in Personal Construct Theory” di Don Bannister e, Chiari e Nuzzo trovarono, in una libreria di Londra, un volumetto della Penguin Books dal titolo “Inquiring Man: The Theory of Personal Construct” scritto da Bannister e Fay Fransella[8]. In questi lavori veniva descritta la prospettiva psicologica elaborata da George Alexander Kelly, che nel 1955, negli Stati Uniti, aveva pubblicato “Psychology of Personal Constructs”. Lo studioso americano, introducendo il modello dell’“uomo come ricercatore”, equiparava l’individuo ad uno scienziato che era “regolato” da un unico sistema motivazionale quello dell’espansione della capacità predittiva. Kelly concepiva l’attività mentale come primariamente orientata ad anticipare gli eventi e aveva immaginato l’apparato cognitivo come una struttura gerarchica di costrutti dicotomici o bipolari, la cui organizzazione interna, attraverso un processo di invalidazione del loro potere di previsione, si modificava, per complessità e per articolazione, determinando un incremento della conoscenza personale. Lo psicologo statunitense, inoltre, aveva sviluppato una tecnica, la “Griglia di repertorio”, che era stata realizzata per l’analisi sistematica delle “strutture” cognitive e che poteva essere utilizzata per costruire protocolli di ricerca in ambito clinico.
Prendendo spunto dal contenuto di queste due opere, iniziarono una serie di discussioni e di approfondimenti che videro come protagonisti Mancini, Chiari, Semerari, Nuzzo, Gardner e Sassaroli, ai quali si aggiunse, successivamente, Roberto Lorenzini e che determinarono l’introduzione delle posizioni costruttiviste nella psicoterapia cognitiva italiana. Tale attività portò alla costituzione di un’area di interesse collegata alla “Psicologia dei Costrutti Personali” e alla formazione di un gruppo teorico indipendente interno alla Sitc.
Nel 1980 Michael Mahoney pubblica un importante saggio dal titolo “Psychotherapy and the Structure of Personal Revolutions” in cui, oltre alla similitudine tra il cambiamento psicoterapeutico e la prospettiva epistemologica di Thomas Kuhn (1962), espone una serie di argomentazioni critiche sulla terapia Cognitivo-comportamentale con l’obiettivo di promuovere l’idea che il Cognitivismo si emancipasse e si differenziasse nettamente dal Comportamentismo. Mahoney, inoltre, sottolineava sia l’importanza dei processi inconsci di elaborazione dell’informazione che la complessità delle dinamiche relazionali che connotavano il rapporto psicoterapeutico attaccando implicitamente, senza mai indicarle direttamente, le visioni cliniche di Beck e di Ellis, che considerava ipercoscienzialiste. Così la sua impostazione diventa un punto di riferimento per gli psicoterapeuti di orientamento cognitivista che erano insoddisfatti sia del legame con il Comportamentismo sia della teoria clinica generale che sosteneva il Cognitivismo più diffuso a livello internazionale (Semerari, 2000).
Nel mese di febbraio dello stesso anno, Mahoney, viene invitato, da Mario Reda, all’Università di Roma per tenere una conferenza. In tale circostanza egli entra in contatto con il gruppo romano della Sitc, constatando che Guidano e Liotti, per descrivere i processi implicati nel cambiamento indotto dagli interventi terapeutici stavano lavorando ad una prospettiva simile a quella che aveva elaborato in “Psychotherapy and the Structure of Personal Revolutions”, partendo però dalla posizione sul progresso della conoscenza scientifica di Imre Lakatos. Mahoney, inoltre, aveva letto “Elementi di Psicoterapia comportamentale”, scritto da Guidano e Liotti e pubblicato da Bulzoni, ed era rimasto colpito dalla modernità e dall’originalità dei concetti che erano in esso contenuti. Egli propose agli autori di far uscire l’opera anche negli U.S.A., ma Guidano e Liotti, che dal 1977, anno in cui era stato scritto il testo, avevano affinato la loro impostazione clinica, spiegarono che quel libro non rappresentava più le loro posizioni teoriche e si accordarono per la stesura di un nuovo lavoro che sarebbe stato in linea con le ultime evoluzioni dei loro modelli esplicativi della psicopatologia. Essi cominciarono, così, ad impegnarsi nella redazione di “Cognitive Processes and Emotional Disorders” che verrà pubblicato in America, da Guilford, nel 1983.
Nell’estate del 1980 Mario Reda, che, in quegli anni, svolgeva la sua attività di docenza all’Università di Cagliari, invita John Bowlby in Sardegna per una serie di conferenze di approfondimento sulla Teoria dell’Attaccamento. La partecipazione a queste giornate di studio fu numericamente consistente, aspetto che contribuì ad una maggiore diffusione della visone teorica dello psicoanalista inglese tra i terapeuti aderenti alla Sitc.
Il 20 e 21 giugno del 1981 si svolse, all’Istituto di Genetica medica e Gemellologia “Gregor Mendel” di Roma, il primo “Congresso nazionale di terapia del comportamento e terapia cognitivo–comportamentale”. La Sitc che fino ad allora aveva avuto una “dimensione” prettamente romana iniziò ad allargarsi a livello nazionale. Tale avvenimento assunse una notevole rilevanza storica poiché l’Assemblea dei soci, tenutasi alla fine dei lavori congressuali, formalizzò ufficialmente il passaggio al Cognitivismo approvando all’unanimità la modificazione del nome della Società che, da quel momento, è divenuto “Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva” (Sitcc), con l’aggiunta di una “C” all’acronimo che la definiva (Chiari e Nuzzo, 1982). Da allora i Convegni nazionali si svolgeranno a cadenza biennale ad eccezione del secondo che è stato effettuato a Firenze, nel 1984, a distanza di tre anni dal primo, poiché nel 1982 la Sitcc aveva organizzato all’Università Cattolica di Roma il “XII Congresso Europeo di Behaviour Therpay” in collaborazione con l’European Association of Behaviour Therapy (Eabt).
Sempre nel corso dei primi anni Ottanta, il “Centro di Psicoterapia Comportamentale”, di via degli Scipioni 245, trasformerà il nome in “Primo centro di Terapia Cognitiva”. Successivamente, Semerari e Sassaroli, con Lorenza Isola e Umberta Telsner, fondano, sempre in via degli Scipioni, ma al numero 237, il “Secondo centro di Terapia Cognitiva”.
Alla conclusione di “Cognitive Processes and Emotional Disorders”, Guidano, aveva predisposto un seminario di presentazione di quello che veniva chiamato il “Nuovo modello”. Nel libro era stata costruita, all’interno di una cornice evoluzionistica, un’impostazione teorica fondata su una concezione dello sviluppo psicologico che nasceva dal collegamento fra la Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby (1969; 1973; 1980) e i meccanismi coinvolti nella “crescita” cognitiva individuati da Jean Piaget (1970; Piaget e Inhelder 1966). Questa prospettiva clinica, definita “strutturalista”, aggettivo da cui si è generata la dicitura di “Structural Cognitive Therapy” (Cionini, 1991; Reda, 1992; De Silvestri, 1995), aveva il suo cardine nel concetto di “organizzazione cognitiva” classificata, da Guidano e Liotti, in: fobica, ossessiva, depressiva, e quella specifica dei disturbi alimentari psicogeni. Per descrivere il funzionamento psichico di queste quattro modalità di articolazione della conoscenza individuale erano state utilizzate la visione epistemologica di Lakatos (1974; 1976) e la differenziazione tra “conoscenza tacita” e “conoscenza esplicita” che era stata mutuata dal lavoro di Michael Polanyi (1967)[9]. Il filosofo di origine ungherese, nel corso degli anni Sessanta, aveva elaborato un’“epistemologia personalista”, secondo la quale l’atto complessivo della conoscenza era connotato da un processo nel quale ciò che viene formulato razionalmente, linguisticamente e comunicativamente – “explicit dimension” – emergeva da un insieme di attività mentali pre-verbali, da forme inarticolate, ed emotive di intelligenza e da elementi di esperienza vissuta latenti, inconsapevoli e intimamente soggettivi che costituivano il “coefficiente personale” ineliminabile di ogni atto conoscitivo – “tacit dimension” – .
Nel 1986 La Nuova Italia Scientifica pubblica “Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia” di Mario Reda. Poichè “Cognitive Processes and Emotional Disorder”, era stato scritto in Inglese, l’autore aveva l’obiettivo, per ovviare all’assenza di un testo in lingua italiana, di elaborare un modello psicoterapeutico cognitivista che spiegasse lo sviluppo della conoscenza individuale, seguendo le linee dell’epistemologia della complessità e un’ottica non riduzionista, e descrivesse come i processi cognitivi, che sono il risultato dell’interazione di più componenti che si autosviluppano in un ecosistema con cui entrano in rapporto di reciprocità, influenzano la formazione dell’identità personale e rendono vulnerabili all’esordio della psicopatologia.
Nel corso degli anni Ottanta il gruppo che aveva aderito alla “Psicologia dei Costrutti Personali”, promosse una serie di iniziative che avevano l’obiettivo di diffondere l’orientamento kelliano in Italia: Mancini e Semerari curarono un libro dal titolo “La Psicologia dei Costrutti Personali: saggi sulla teoria di G.A. Kelly”, che venne pubblicato nel 1985, da Franco Angeli. Contemporaneamente anche Gabriele Chiari e Maria Laura Nuzzo avevano iniziato un’intensa attività editoriale che li portò a tradurre: nel 1986, “Inquiring man” con il titolo “L’uomo ricercatore”, e, nel 1990, “Psicoterapia dei Costrutti Personali” di Franz Epting, che rappresenta l’unico manuale di psicoterapia costruttivista kelliana in lingua italiana.
Nello stesso periodo venne invitato Bannister all’Università Cattolica di Roma per tenere una conferenza sulla prospettiva psicologica di Kelly. L’incontro e la conoscenza diretta con il clinico scozzese fu determinante, poiché grazie a Bannister gli appartenenti al gruppo romano vennero introdotti nella comunità internazionale della “Psicologia dei Costrutti Personali” e, nel 1985, ufficialmente invitati a partecipare al Congresso di Cambridge. Successivamente a tale incontro internazionale il nucleo italiano decide di organizzare nel 1989, ad Assisi, un Convegno sul pensiero di Kelly. Nel frattempo, però, Bannister, nel 1986, era deceduto, circostanza che influì negativamente sull’incisività del consesso scientifico sul contesto culturale italiano.
Dopo questo evento ci fu una differenziazione all’interno del gruppo dei kelliani: lo snodo attraverso cui passa tale divaricazione coincide con la fase di diversificazione delle idee epistemologiche del Costruttivismo. Durante la diffusione di questa posizione filosofica si erano delineati due distinti orientamenti: il Costruttivismo radicale e il Costruttivismo critico[10].
Semerari (1998), sosteneva che il progetto insito nel Costruttivismo radicale concepiva l’indagine dei processi conoscitivi, considerati come elementi psichici fondamentali, come il substrato irrinunciabile da cui partire per descrivere i fenomeni clinici. Da questo punto di vista, il programma di ricerca di questa prospettiva epistemologica prendeva una direzione top – down, dall’alto verso il basso, modalità attraverso cui, secondo un “andamento” nomotetico, partendo da alcune assunzioni gnoseologiche di base si arrivava alla definizione della teoria clinica.
Tale modo di procedere nell’acquisizione dei dati che potevano essere utilizzati nella prassi terapeutica secondo Semerari aveva uno scarso potenziale euristico, così, considerava necessario assumere una diversa prospettiva, quella del Costruttivismo critico, ponendo al centro dei propri interessi non la teoria della conoscenza ma la teoria clinica. Egli, infatti, auspicava un ritorno ai problemi che nascevano direttamente dalla pratica clinica e, conseguentemente, sosteneva l’adesione ad un programma di ricerca che avesse una “traiettoria” inversa rispetto a quella precedente, ossia una direzione bottom – up, dal basso verso l’alto, e patrocinava un approccio metodologico in cui, attraverso un “procedimento” induttivo o idiografico, la teoria clinica derivasse da una continua tensione tra teoria generale, evidenze psicopatologiche e confronto tra ipotesi rivali su tematiche che venivano convenzionalmente ritenute, all’interno della comunità scientifica, importanti per la crescita della psicoterapia.
In seguito a questa divaricazione Mancini, Semerari, Sassaroli e Lorenzini abbandonarono la prospettiva kelliana e, individuando percorsi di ricerca autonomi, si orientarono individualmente verso un ritorno alla clinica “pura” con l’intenzione di elaborare modelli teorici che derivassero direttamente dalle difficoltà incontrate negli interventi terapeutici, mentre Chiari, Nuzzo e Gardner, anche se con qualche differenza fra loro, rimasero fedeli a Kelly e al Costruttivismo radicale.
Considerando che, proprio in quel periodo, si era generato un forte interesse per un problema clinicamente molto rilevante, quello legato ai processi che ostacolavano il miglioramento della patologia psichica, Mancini, a partire dai primi anni Novanta, si dedica all’analisi sistematica di una delle questioni più annose e complesse che hanno attraversato la storia della psicoterapia in generale e del Cognitivismo clinico in particolare: l’egodistonia.
Poiché l’egodistonia è legata sia al fallimento dei tentativi di cambiamento autoindotti che alla resistenza alla modificazione di quei comportamenti disadattivi e palesemente disfunzionali trattati in psicoterapia, secondo Mancini la comprensione dei meccanismi che connotavano l’“atteggiamento egodistonico” avrebbe consentito di spiegare non solo la sofferenza psicopatologica ma anche la condotta individuale abituale.
Questo problema clinico è stato definito anche “paradosso nevrotico”, poiché si manifesta attraverso la persistenza di credenze e di repertori comportamentali debolmente giustificati e apertamente inadeguati che non consentono un adattamento funzionale alla realtà e che vengono mantenuti nonostante gli strumenti cognitivi, gli scopi e le informazioni di cui dispone il paziente, rendano possibile e addirittura opportuno un cambiamento. All’interno del Cognitivismo sono state formulate alcune spiegazioni dell’egodistonia: la prima è quella che fa riferimento al principio di coerenza secondo la quale il mantenimento della coerenza interna dell’intero sistema di significati personali è prioritario rispetto alla modificazione di costrutti che sono dannosi e dolorosi; la seconda si fonda invece sull’idea che alcune credenze rimangono attive nonostante siano ingiustificate e producano sofferenza poiché dal loro persistere l’individuo trae un vantaggio secondario.
Mancini, insoddisfatto della parzialità e dell’incompletezza di queste interpretazioni delle distonie che caratterizzano la patologia, senza ricorrere alla dialettica tacito – esplicito, utilizzata da Guidano e Liotti in “Cognitive Processes and Emotional Disorder”, scelta che nasceva dalla constatazione che le spiegazioni dialettiche non sono spiegazioni ma semplici ridefinizioni del problema, ha elaborato una soluzione originale basata su un modello funzionale a “circolo vizioso” per il quale la contraddizione che connota l’egodistonia sarebbe collegata alla possibilità che specifici stati mentali intenzionali (scopi e ragioni) generino effetti non voluti sulla realtà in grado di confermare e rafforzare le assunzioni e le credenze (conoscenze) che sostengono quello stesso stato cognitivo intenzionale che a sua volta influenza il processo di controllo di quelle convinzioni attraverso modalità che confermano quelle assunzioni e quelle credenze. Questo procedimento di autovalidazione ricorsiva determinerebbe e faciliterebbe la persistenza di atteggiamenti dannosi e controproducenti per l’individuo.
Mancini ha applicato il suo modello del “paradosso nevrotico” soprattutto al trattamento dei disturbi ossessivo – compulsivi spiegando il mantenimento del sintomo e i meccanismi funzionali di conservazione e aggravamento delle valutazioni disadattive, attraverso alcuni contenuti mentali: macrocredenze sulle conseguenze dei propri pensieri, credenze negative sulle proprie emozioni o sui propri atteggiamenti, che vengono sostenuti da specifici vissuti emotivi: timore della colpa e tendenza a ritenersi responsabili, i quali, a loro volta, sono convalidati dagli aspetti cognitivi che li alimentano, processo che genera ricorsivamente questa problematica clinica.
Mancini è tra i componenti del comitato scientifico dell’Aidoc e membro della Sezione italiana della “Society for Psychotherapy Research” (Spr) ed è uno dei maggiori sostenitori dell’approccio evidence – based in psicoterapia, orientamento che, grazie all’attività di numerosi gruppi di ricerca sparsi in tutto il mondo, ha l’obiettivo di costruire una pratica terapeutica fondata sulla verifica empirica dell’efficacia dei trattamenti clinici e sull’utilizzo, nella cura delle diverse patologie, di protocolli di intervento validati scientificamente attraverso la ricerca sperimentale. Con l’intento di diffondere tale impostazione Mancini ha curato per McGraw Hill l’edizione italiana del volume di W. J. Lyddon e J. V. Jones Jr. “L’approccio evidence – based in psicoterapia”,. Oltre a numerose altre pubblicazioni Mancini ha curato con Cristiano Castelfranchi, direttore dell’Istituto di Scienze e tecnologie della cognizione del CNR di Roma, e Maria Miceli, ricercatrice presso lo stesso istituto, “Fondamenti di Cognitivismo clinico”, per la collana di Scienza cognitiva della Bollati Boringhieri.
Semerari, nella fase successiva al Congresso di Assisi, essendo interessato alle difficoltà nel trattamento di alcuni disturbi psichici gravi e intenzionato a colmare l’assenza di una teoria clinica per la cura dei pazienti difficili, aspetto che considerava una lacuna della Terapia Cognitiva Standard di Beck, si indirizza allo studio del rapporto tra relazione terapeutica e processi cognitivi[11].
Questo lavoro lo porta, nel 1991, alla stesura di un libro “I processi cognitivi nella relazione terapeutica”, nel quale, con un linguaggio diverso dall’attuale, veniva abbozzato il concetto di “metacognizione”, in quanto si sosteneva che, nel corso di una psicoterapia, il paziente si forma una rappresentazione della rappresentazione che il terapeuta ha di lui e che tale neostruttura cognitiva gli consente di meglio comprendere e governare i propri stati mentali problematici. Nel 1994 viene pubblicato “La dimensione interpersonale della coscienza” di Giovanni Liotti e per Semerari le idee contenute in quell’opera furono uno stimolo fondamentale per formulare l’ipotesi secondo la quale i meccanismi psicologici che connotavano alcune tipologie di pazienti erano legati a dei deficit nel loro funzionamento cognitivo e, per tale motivo, non rispondevano al trattamento con le tecniche della Terapia Cognitiva Standard. Tali deficit portavano all’instaurarsi di cicli interpersonali problematici, caratteristici e specifici, che si manifestavano durante il trattamento psicoterapeutico.
Nel 1996 Semerari fonda a Roma il “Terzo centro di Terapia Cognitiva”, che nasce come studio professionale e diventa, successivamente, la sede di un gruppo di ricerca che si specializza nell’indagine del processo terapeutico nella cura di problematiche psicopatologiche gravi. Dopo un training in psicoterapia cognitiva, condotto dallo stesso Semerari a cui parteciparono Antonio Carcione, Giancarlo Dimaggio, Maurizio Falcone, Claudio Lalla, Giuseppe Nicolò e Michele Procacci, i partecipanti al corso, seguendo l’impostazione del “San Francisco Psychotherapy Research Group” del Mount Zion Hospital, iniziarono a registrare e a trascrivere le sedute con i pazienti[12]. Questa metodologia consentì di comprendere che particolari categorie di disturbi psichici non consentivano, a coloro che ne erano portatori, di metarappresentarsi gli stati mentali propri ed altrui (Dimaggio e Semerari, 2003).
Nel corso di anni di ricerca Semerari ed il suo gruppo hanno operazionalizzato il concetto di metacognizione, individuando le diverse funzioni che sono coinvolte in questa facoltà mentale, che in alcune categorie di pazienti è particolarmente compromessa, anche se in modo diverso a seconda del tipo di disturbo, e hanno elaborato un modello di trattamento clinico definito metacognitivo-interpersonale.
Recentemente Semerari è stato Presidente della Sezione italiana della “Society for Psychotherapy Research” (Spr) e ha curato con Dimaggio “I Disturbi di Personalità: Modelli e trattamento. Stati mentali, metarappresentazione, cicli interpersonali” edito da Laterza e tradotto in diverse lingue.
Sandra Sassaroli e Roberto Lorenzini essi, in quel periodo, all’interno del “Secondo centro di Terapia Cognitiva”, si sono orientati, in una prima fase, allo studio del rapporto fra la tipologia d’attaccamento, lo stile di conoscenza e i disturbi di personalità e, successivamente, all’approfondimento dei processi mentali coinvolti nei disturbi d’ansia e nei disturbi del comportamento alimentare.
Sandra Sassaroli, nel 1995, si trasferisce a Milano, dove fonda con Francesco Centorame l’“Associazione per la Psicologia e Psicoterapia Cognitiva” (Appc) e nel 2001 una nuova Scuola di specializzazione in Psicoterapia cognitiva. Attorno alla sua figura si è costituito un gruppo di ricerca che si occupa di individuare e analizzare i “costrutti” coinvolti nei disturbi del comportamento alimentare, come il “rimuginio” ed il “perfezionismo patologico”, e della validazione scientifica di protocolli di intervento clinico nell’anoressia, nella bulimia e nei disturbi d’ansia, secondo l’approccio della Terapia Cognitiva Standard e il modello dell’evidence – based.
Gabriele Chiari e Maria Laura Nuzzo, sono rimasti all’interno della prospettiva della “Teoria dei Costrutti Personali” e hanno elaborato un’evoluzione in chiave ermeneutica della psicoterapia costruttivista kelliana. Essi fanno parte dell’European Personal Construct Association (Epca) e dell’International Steering Committee e, dal 1993, insegnano nella Scuola di psicoterapia del CESIPc di Firenze. Nel 1997 hanno costituito con Lorenzo Cionini l’Associazione Italiana di Psicologia e Psicoterapia Costruttivista (Aippc) che ha come scopo la promozione e la diffusione dell’approccio costruttivista in psicologia ed in psicoterapia.
Giorgianna Gardner, è rimasta anch’essa all’interno della cornice epistemologica del Costruttivismo radicale, dedicandosi alla psicoterapia nell’ambito dell’età evolutiva e dell’adolescenza.
Pur avendo costruito in “Cognitive Processes and Emotional Disorder” un’impostazione teorica omogenea tra Guidano e Liotti, nel corso della seconda metà degli anni Ottanta, si produce, progressivamente, una divergenzasempre più netta che conduce i due clinici romani a formulare due distinti modelli esplicativi della psicopatologia.
Guidano (1988; 1992), adottando la teoria della complessità (Bocchi e Cerutti, 1985) come cornice entro la quale sviluppare le sue idee cliniche e il Costruttivismo radicale (Von Glaserfeld, 1988) come posizione filosofica di riferimento, assumerà una prospettiva post-moderna (Lyotard, 1981), muovendosi secondo ipotesi concettuali coerenti con il “pensiero debole” (Vattimo, 1983). Egli, infatti, nel percorso che contraddistingue l’evoluzione della sua posizione, passerà da una visione sistemico – processuale, inserendo nell’impianto teorico “strutturalista”, la teoria generale dei sistemi (Von Bartalanfy, 1971) e la cibernetica di primo (Wiener, 1982) e di secondo ordine (Von Foerster, 1987),ad un’ottica che ha definito Post-razionalista, assimilando gli assunti sull’autopoiesi, elaborati da Humberto Maturana e Francisco Varela (1985), la concezione di apertura e chiusura di un sistema vivente mutuata da Edgar Morin (1977), le posizioni di Von Hayek (1952) sulla distinzione tra ordine fisico e ordine fenomenico, e gli studi di Ilya Prigogine (1986; 1997; con Nicolis, 1991; con Stengers, 1993) sui processi irreversibili e l’ordine attraverso fluttuazione.
Guidano, seguendo questi contributi provenienti dalla moderna epistemologia, che hanno prodotto una revisione critica dei principi su cui si fondava l’empirismo, arriva a concepire l’individuo come un sistema cognitivo complesso in equilibrio dinamico che, essendo chiuso dal punto di vista strutturale, si organizza autoreferenzialmente e tende a mantenere una coerenza interna e una continuità del senso di sé attraverso la ricerca attiva di un significato personale costante. Da qui il suo interesse per l’articolazione evolutiva del Sé e per la narrazione autobiografica (Bruner, 1991; 1992) considerati come i nuclei centrali dell’identità personale, aspetti che diverranno gli argomenti centrali delle sue teorizzazioni e che lo spingono ad utilizzare la distinzione operata da William James tra l’“I”, responsabile dell’esperienza immediata o implicita, che esperisce e agisce, e il “Me”, collegato all’esperienza cosciente o esplicita, che osserva e valuta svolgendo un’attività ininterrotta di attribuzioni a sé delle percezioni ed emozioni che sperimenta a livello tacito. Nel rapporto dialettico tra queste due “entità” si forma un’articolazione armonica, nelle situazioni di equilibrio psicologico, o disarmonica, nei casi di scompenso psicopatologico.
Nel 1997 Vittorio Guidano, Giampiero Arciero e Maurizio Dodet, assieme ad altri, fondano nella capitale l’Istituto di Psicologia Cognitiva Post-razionalista (Ipra). Guidano si spegne, nell’agosto del 1999, durante un viaggio in Sud America che era stato organizzato per presentare, attraverso un ciclo di conferenze, gli ultimi progressi della sua prospettiva. Maurizio Dodet nei primi mesi di quello stesso anno si era staccato dall’Ipra e, nel 2000, costituirà con Gabriella Paga, Daniela Merigliano, Renato Proietti, i quali avevano fatto parte del nucleo storico dell’Ipra, il “Laboratorio di Psicologia Cognitiva Postrazionalista”.
Per quello che riguarda, invece, lo sviluppo delle elaborazioni che hanno connotato il lavoro di Liotti (1994; 2001) esse si distinguono dalla traiettoria intrapresa da Guidano poiché, rimangono all’interno della filosofia della scienza di matrice popperiana e, dipanandosi attraverso ipotesi “forti”, in una concezione “moderna” della teoria di riferimento (Habermas, 1987). La sua prospettiva è profondamente caratterizzata in senso interpersonale e fortemente ancorata all’epistemologia evoluzionista, al progresso delle neuroscienze, ai dati sperimentali della Teoria dell’Attaccamento e della Developmental psychopathology[13] (Onofri e Tombolini, 1997).
Nella concezione clinica di Liotti, definita Cognitivismo evoluzionista, occupano una posizione centrale i cinque “sistemi motivazionali interpersonali” biologicamente determinati: attaccamento, accudimento, cooperativo, agonistico e sessuale (Liotti, 1994). All’interno di questa visione il sistema motivazionale interpersonale più importante e gerarchicamente superiore è quello che regola il comportamento d’attaccamento, il quale ha l’obiettivo specifico di modulare la prossimità alla figura adulta significativa. La qualità e la sensibilità delle risposte materne alle richieste di accudimento del neonato andranno a costituire il nucleo dei primi “modelli operativi interni” che il bambino costruisce di sé, dell’altro e della relazione.
Secondo tale prospettiva teorica esiste uno stretto rapporto tra la tipologia d’attaccamento, che si è instaurata nelle primi fasi di vita con il caregiver, e il grado di organizzazione dell’identità personale: modelli operativi interni coerenti, unitari e positivi (attaccamento B sicuro) permettono all’individuo di costruire rappresentazioni di sé – con – l’altro con le stesse caratteristiche di coerenza; modelli operativi interni collegati a modalità d’attaccamento insicure, imprevedibili e molteplici saranno responsabili delle successive distorsioni, elaborazioni parziali e dissociazioni (attaccamento A evitante, attaccamento C ansioso – resistente e attaccamento D disorientato – disorganizzato) nella funzione integratrice della coscienza, nella regolazione delle emozioni e nella formazione dei successivi rapporti interpersonali.
Liotti considera sterile il dibattito che anima la contrapposizione tra le due categorie che sono state differentemente indicate con i termini moderna e post-moderna, razionalista e post-razionalista o realista e costruttivista, poiché ritiene che la psicologia evoluzionista permetta di superare tale distinzione dato che può essere considerata sia costruttivista, in quanto si occupa delle modalità con cui gli individui costruiscono gli schemi cognitivi interpersonali e la struttura dei significati entro cui interpretare l’esperienza soggettiva, che realista poiché considera che ogni “costruzione” rimanga soggetta ai vincoli posti dalla realtà e che lo sviluppo normale o patologico scaturisca dalla qualità “reale” dei rapporti d’attaccamento e accudimento. Da questo punto di vista, Liotti avversa l’idea insita nel Costruttivismo radicale secondo la quale l’uomo è continuamente impegnato a “costruire” i propri significati personali, tanto che seguendo le conclusioni più estreme di questo orientamento si arriva a sostenere che l’individuo “costruisca” anche i propri “significati” emozionali e i propri meccanismi motivazionali, mentre, per un cognitivista evoluzionista, emozioni e motivazioni di base sono state selezionate filogeneticamente e hanno preceduto lo sviluppo del pensiero e del linguaggio, quindi hanno un valore primario rispetto alle “narrazioni” personali.
Liotti ha indicato con il termine Costruttivismo dialogico (Liotti, 1992) la base epistemologica del processo psicoterapeutico per sottolineare il presupposto secondo il quale la relazione che si instaura tra paziente e terapeuta non deve essere considerata come un rapporto tra osservatore ed osservato, come avviene nel Costruttivismo radicale, ma nella prospettiva di due interlocutori che costruiscono insieme le forme del loro dialogo clinico.
Sulla base di questi interessi Liotti, nel 1988, ha fondato a Roma L’Associazione per la Ricerca sulla Psicopatologia dell’Attaccamento e dello Sviluppo (Arpas), con lo scopo di raccogliere tutti quei terapeuti interessati allo studio, all’evoluzione e alla diffusione della Teoria dell’Attaccamento.
Questa ricostruzione storica mette in evidenza come il quadro teorico complessivo che connota la “Scuola romana” di psicoterapia cognitiva non sia né omogeneo né uniforme tanto che può essere adeguatamente rappresentato attraverso un insieme composito di teorie all’interno di un paradigma in continua evoluzione (Laudan, 1979) e alla coesistenza e “competizione” tra distinti programmi di ricerca (Lakatos e Musgrave, 1975).
[1] Giancarlo Reda, pur avendo una formazione che affondava le sue radici nella Psichiatria classica, era molto interessato alla psicoterapia così stimolava e sosteneva qualunque iniziativa che avesse come oggetto lo studio e l’applicazione clinica di tecniche psicoterapeutiche. L’Istituto era la sede della scuola di specializzazione ed era costituito, oltre che da alcune unità esterne, da due reparti di degenza: quello maschile, il cui responsabile era Gaspare Vella, e quello femminile, che era diretto da Giuseppe Donini. Inoltre, al suo interno, vi era anche una “Sezione di Psicologia clinica”, coordinata da Paolo Pancheri.
[2] La prima sede legale della Società Italiana di Terapia del Comportamento (Sitc), il n. 30 del viale dell’Università, coincideva con l’indirizzo dell’Istituto di Psichiatria.
[3] L’European Association for Behaviour Therapy (Eabt) venne fondata formalmente nel 1976, ma la sua attività inizia di fatto cinque anni prima quando i gruppi di Behaviour therapist attivi in Germania, Olanda e Gran Bretagna decisero di costituire una rete europea che potesse servire da punto di riferimento per i nuclei che si formavano nelle diverse nazioni del vecchio continente. Il primo Presidente, di nazionalità tedesca, è stato J.C. Brengelmann, mentre il primo Convegno europeo verrà organizzato, nel 1973, ad Amsterdam. Nel 1992 quando ormai il passaggio al Cognitivismo era già stato effettuato di fatto dalla maggior parte dei terapeuti che afferivano a quest’area teorica è stato aggiunto l’aggettivo “Cognitive” al nome dell’Associazione che da quel momento è divenuto European Association for Behavioural and Cognitive Therapy (Eabct). Tale iniziativa spingerà tutte le società europee ad aggiungere il termine “cognitivo” ai loro nomi.
[4] Uno delle pubblicazioni più importanti di quel periodo fu “Piani e Strutture del Comportamento”, che uscì in Italia nel 1968, un libro di George Miller, il quale nel 1960, con Jerome Bruner, aveva fondato ad Harvard il “Center for Cognitive Studies”, Eugene Galanter, uno psicologo molto interessato alla matematica, e Karl Pribram, un neuroscienziato, in cui si parlava di “Comportamentismo soggettivo”, in contrasto con il tradizionale asoggettivismo dell’orientamento comportamentista, e veniva sottoposto a critica l’impianto teorico del comportamentismo standard o ortodosso, proponendo un nuovo modello di studio del comportamento attraverso la definizione di un approccio cibernetico costituito da azioni, anelli di retroazioni e correzioni delle azioni in base alle retroazioni, processo che essi chiamarono “Unità T.O.T.E.” (Test-Operate-Test-Exit).
[5] Aaron Tim Beck fu colui che per primo, nel 1967, coniò la dicitura “Psicoterapia cognitiva” introducendola in un breve capitolo di un testo dedicato alla depressione.
[6] Paolo Meazzini fonderà, nel 1984, a Roma, l’ “Associazione Italiana di Psicologia Cognitivo-Comportamentale dell’Età Evolutiva”, che divenne, due anni dopo, nel 1986, “Associazione Italiana di Psicologia e Terapia Cognitivo-Comportamentamentale” (Aiptcc), aggregazione che storicamente costituisce la terza società di orientamento comportamentista ad essere stata formata in Italia.
[7] All’interno della Sitc, Bruno Bara ha avuto un ruolo rilevante nelle diverse fasi che hanno segnato la nascita di quest’area della psicologia scientifica, che venne definita, in un primo periodo, Simulazione cognitiva, o più spesso Simulazione del comportamento e, successivamente, Scienza cognitiva. Egli attraversando questo percorso ha costituito, nel 1980, a Milano, l’Unità di Ricerca di Intelligenza Artificiale e, alla fine degli anni Ottanta, ha istituito, all’Università di Torino, il primo “Centro di Scienza cognitiva” in Italia. Nel corso degli anni Novanta, Bara, con Giorgio Rezzonico, ha fondato le Scuole di specializzazione in Psicoterapia cognitiva di Como e Torino. Nel 1996, Bara ha curato per Bollati Boringhieri il “Manuale di Psicoterapia cognitiva” e, nel 2005, il “Nuovo Manuale di Psicoterapia cognitiva” in cui vengono raccolti e sistematizzati i contributi teorici dei maggiori rappresentanti del movimento cognitivista italiano.
[8] La “Psicologia dei Costrutti Personali” non ebbe una grande risonanza nel periodo in cui venne elaborata venendo sostanzialmente ignorata dalla comunità scientifica. Fu soltanto dopo la scomparsa di Kelly che, nel corso degli anni Settanta, le sue idee cliniche furono riprese e rivalutate, soprattutto in Gran Bretagna da Don Bannister e Fay Fransella (Cionini, 1991). Don Bannister era un clinico scozzese che aveva costruito dei protocolli di ricerca per studiare i “costrutti” dei pazienti con diagnosi di schizofrenia i cui risultati contribuirono notevolmente alla diffusione della “Psicologia dei Costrutti Personali” in Europa. Fay Fransella, nel 1977, aveva iniziato a Londra presso il “Royal Free Hospital School of Medicine”, a formare all’orientamento psicoterapeutico kelliano un gruppo di dieci terapeuti, e, nel 1981, aveva fondato, sempre nella capitale inglese, il “Centre for Personal Construct Psychology” con l’intenzione di costituire un punto di riferimento a livello internazionale per coloro che nei diversi paesi si orientavano alla “Psicologia dei Costrutti Personali”.
[9] Michael Polanyi (1891-1976) era nato in Ungheria e dopo essersi stabilito in Inghilterra, divenne membro della Royal Society e Professore di Chimica e Fisica presso l’Università di Manchester, discipline per le quali fu candidato al Premio Nobel. Egli, sempre nel medesimo ateneo, intorno agli anni Cinquanta, iniziò ad interessarsi di filosofia della scienza e di epistemologia (Hearnshow, 1989) divenendo uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “nuova filosofia della scienza”. Nel 1958 scrive il suo saggio più importante “Conoscenza Personale. Verso una filosofia post-critica”, in cui afferma che in tutte le forme di conoscenza si possono rintracciare elementi personali e soggettivi, e nel 1967 viene pubblicato “The Tacit Dimension” dove l’autore descrive la distinzione tra conoscenza tacita e conoscenza esplicita.
[10] Il Costruttivismo radicale esclude l’esistenza di qualunque tipo di “realtà” che vada oltre quella prodotta dalla conoscenza individuale o sociale e rifiuta l’idea che si possa giungere ad uno studio oggettivo del mondo, poiché, secondo tale prospettiva epistemologica, non esiste una “realtà” indipendente dal soggetto che conosce. Il Costruttivismo critico, definito dai costruttivisti radicali anche “ingenuo” o “banale”, invece, è essenzialmente “realista”, infatti, pur riconoscendo sia i limiti che gli aspetti soggettivi del conoscere, non nega l’esistenza di un mondo fisico “reale”.
[11] In ambito cognitivista, il filone che studia i processi interpersonali coinvolti nel trattamento psicoterapeutico inizia con il lavoro di Safran J.D. e Segal Z.V. (1990).
[12] Le due figure più importanti del San Francisco Psychotherapy Research Group” del Mount Zion Hospital sono Joseph Weiss e Harold Sampson. Questo gruppo ha svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo della ricerca sul processo nella psicoterapia psicoanalitica e ha proposto un’originale integrazione tra psicanalisi e terapia cognitiva.
[13] La Developmental pshychopathology nasce, negli anni Settanta, come area di ricerca autonoma che si avvale dei contributi della Psicologia, della Psichiatria e delle Neuroscienze, e dell’integrazione delle acquisizioni di queste discipline con le scoperte effettuate nella ricerca sociologica ed epidemiologica. Tale orientamento si interessa in modo specifico delle applicazioni delle conoscenze sullo sviluppo psicologico allo studio delle popolazioni ad alto rischio psicopatologico (Cicchetti, 1989). L’intento che è alla base di questa prospettiva è quello di individuare i fattori di vulnerabilità che predispongono ai disturbi psichici e di spiegare i meccanismi attraverso cui tali fattori portano alla genesi di una problematica clinica (Rutter, 1985).