L’approccio cognitivo trova ampia applicazione nella terapia con pazienti appartenenti a diverse culture e che presentano difficoltà di comunicazione.
In riferimento ai pazienti sordi, per essere considerata efficace, la terapia cognitiva dovrà possedere una doppia valenza: essere in grado di rispondere alle problematiche che affliggono i pazienti sordi quanto quelli udenti, e mirare alla riduzione di sintomatologie peculiari rispetto alla condizione di sordità. Per raggiungere questi obiettivi, la terapia dovrà utilizzare tecniche visive ed essere culturalmente appropriata. Mentre gli interventi di matrice comportamentale si rivelano particolarmente utili per l’apprendimento da parte del paziente sordo di particolari competenze, la terapia cognitiva può essere proficuamente condotta al fine di lavorare sulle credenze disfunzionali che sottendono l’ansia circa l’assunzione di nuovi comportamenti. Tali credenze disfunzionali hanno spesso come oggetto le persone udenti e ciò che esse pensano delle persone sorde e, solitamente, riflettono la posizione dell’individuo sordo all’interno della società udente. Infatti, una delle credenze più diffuse è che gli individui udenti considerino “stupidi” quelli sordi. Tale convinzione, che fonda le sue radici nella storia dei sordi, è confermata dall’esperienza personale di alcuni di essi ed è probabile interferisca con le competenze nella vita quotidiana.
Altre credenze aventi il medesimo oggetto, e frequentemente riscontrabili nella pratica clinica, possono essere così riassunte: “le persone udenti sono più intelligenti e attraenti delle persone sorde”, “le persone udenti hanno una maggiore fiducia di sé”, “le persone udenti non hanno problemi, né di comunicazione, né psicologici, non sono timide o ansiose”.
Un altro gruppo di credenze disfunzionali riguarda i vantaggi di una comunicazione efficace ed ingloba la convinzione secondo cui la sordità è la causa di tutti i problemi, i quali non ci sarebbero se solo le persone sorde potessero sentire e parlare bene: “se solo fossi udente…il mio matrimonio sarebbe soddisfacente, non avrei avuto problemi con la giustizia”. Una possibile conseguenza di tali credenze sono i sentimenti depressivi di bassa autostima, disforia etc.
Molte persone sorde si sorprendono quando apprendono che anche le persone udenti possono avere difficoltà a comunicare chiaramente, vanno incontro a fraintendimenti e possono necessitare di terapie volte a ristabilire una comunicazione appropriata all’interno di relazioni come quella familiare.
La maggior parte dei pazienti sordi giunge in terapia mostrando spesso una bassa autostima collegata alla difficoltà di accettare la sordità e, di conseguenza, al mancato raggiungimento di una identità in relazione al proprio deficit. Con tali pazienti sarà proficuo lavorare sui pensieri automatici e le credenze disfunzionali possedute sulla sordità e/o sulle persone udenti. Alcune persone sorde, infatti, si sforzano di essere “il più udenti possibile”, altre, invece, si identificano con la comunità dei sordi contrapponendosi in modo netto rispetto al “mondo udente”. Cole ed Edelmann (1991) ritengono che la condizione psicologicamente più salutare per i pazienti sordi da un punto di vista identitario non risieda negli estremi citati, ma consista nell’essere bilingui e biculturali rispetto alle comunità sorda e udente.
Sebbene l’approccio cognitivo sia flessibile nel rispondere ai molteplici bisogni dei pazienti, nel lavoro con quelli sordi si rivelano necessari, in tutti i casi clinici, tre requisiti.
Il primo è l’esigenza di essere centrati sulla persona sorda: questo significa abbandonare le nozioni tradizionali su come la terapia dovrebbe essere condotta e guardare verso la comunità e la cultura delle persone sorde, in modo particolare quando i pazienti utilizzano la Lingua dei Segni. Significa, inoltre, considerare come alcune problematiche psicologiche possano essere secondarie alla sordità e come questa possa dar luogo a manifestazioni peculiari dei sintomi caratteristici dei diversi disturbi psicopatologici.
Il secondo requisito è essere creativi: si dovranno, ad esempio, utilizzare strumenti per l’assessment e tecniche terapeutiche standardizzate o adattate per la popolazione sorda. Inoltre, trovando ispirazione anche dalla conoscenza della comunità dei sordi, si dovrà utilizzare materiale visivo (video, foto, disegni, figure) e scritto al fine di soddisfare le esigenze comunicative del paziente.
Infine, il terapeuta dovrà conoscere fluentemente la Lingua dei Segni per essere in grado di rivolgersi a quei pazienti per i quali essa rappresenta la lingua madre o quella preferenziale nel percorso terapeutico. La conoscenza di tale lingua, anche nelle terapie con i pazienti sordi non segnanti, favorisce una maggiore creatività nel linguaggio.
Bibliografia:
Carta, S. & Fadda, S. (2007), Sordità e Salute Mentale. Edizioni Kappa.
Cole, S.H. & Edelmann, R.J. (1991), Identità patterns & self and teacher perceptions of problems for deaf adolescents: a research note. Journal of Child Psychology and Psychiatry 32.
Sarebbe interessante verificare la differenza in termini di autostima e di credenze disfunzionali tra i sordi che si sforzano di usare il linguaggio verbale e quelli che utilizzano la lingua dei segni. A volte incontro associazioni di persone di quest’ultima tipologia e mi sembrano molto più assertivi delle persone udenti.