Time – intensive CBT: una risposta al DOC post partum?

di Viviana Balestrini

In un post precedente abbiamo posto l’attenzione sul Disturbo Ossessivo – Compulsivo (DOC) (per approfondire clicca qui) con esordio o recrudescenza in gravidanza e nel post partum. Ad integrazione di quanto già espresso, è da evidenziare come in questo particolare periodo della vita della donna, il disturbo tende ad avere una rapida evoluzione. Ciò può essere causato da fattori di diversa natura, come lo stress psico-fisico che comporta la cura del bambino, i particolari cambiamenti ormonali (Forray, Focseneanu, Pittman, McDougle, & Epperson, 2010) e il significativo carico di responsabilità che si sperimenta (Abramowitz, Schwartz, Moore, & Luenzmann, 2003). Proprio l’aumento delle responsabilità può agire da agente propulsivo se sussiste una precedente vulnerabilità al timore di colpa per irresponsabilità, stato mentale che costituisce un regolatore nel DOC (Mancini, 2005). Come fornire una risposta alla necessità di intervenire con tempismo per frenare l’ingravescenza del disturbo e contenere le conseguenze negative che il DOC potrebbe avere sulla costruzione del legame di attaccamento? Uno spunto interessante è offerto dalla terapia cognitivo-comportamentale intensiva per il DOC, di cui si stanno occupando dei colleghi del Regno Unito.

Oldfield e colleghi (2011), proprio per andare incontro all’esigenza di aumentare l’accesso alla psicoterapia offrendo modalità alternative di intervento, hanno confrontato l’efficacia della terapia cognitivo – comportamentale intensiva con la terapia standard.

Sono stati valutati gli esiti di trattamento intensivo su un gruppo di 22 pazienti con diagnosi di DOC e sono stati comparati con un gruppo corrispondente (per età, genere e sintomatologia iniziale) sottoposto a trattamento settimanale. La misurazione è avvenuta attraverso self report al termine del trattamento e con un follow up a 3 mesi.

Il trattamento standard prevedeva sessioni settimanali di 60-90 min, o più quando la seduta comprendeva esperimenti comportamentali o visite a domicilio, per 12-18 settimane.

Il trattamento intensivo consisteva in sessioni distribuite in 5 giorni, in un lasso di tempo complessivo di 10 giorni. Indicativamente 3 giorni nella prima settimana, per un totale di 6-10 ore di trattamento con il terapeuta, a cui ha fatto seguito un fitto lavoro di homework nel fine settimana (ascolto delle registrazioni di seduta, esperimenti comportamentali e altri esercizi). Nella seconda settimana le sessioni di lavoro erano distribuite in 2 giorni, per un totale di 6-8 ore. Anche in questo caso erano previste sessioni a casa o comunque sul campo.

In entrambi i casi gli interventi sono stati condotti da terapeuti cognitivo-comportamentali esperti e supervisionati, che adottavano il modello di Salkovskis (Salkovskis, Forrester, Richards, & Morrison, 1998). Mentre nel caso del trattamento standard il paziente è stato seguito da un singolo terapeuta, nel trattamento intensivo, per questioni di ordine pratico, i terapeuti erano due. Ciò ha comportato un ulteriore lavoro di confronto e intervisione tra pari.

Ebbene, dallo studio risulta che sia alla fine del trattamento che al follow up a 3 mesi, entrambe le modalità sono similmente efficaci.

Tale studio suggerisce che al di là della concettualizzazione del disturbo e delle strategie di intervento, può essere utile e maggiormente rispondente alle esigenze del paziente, offrire strutturazioni diverse del setting terapeutico. Di fatto la modalità intensiva di intervento può costituire una risposta a situazioni particolari:  ad esempio, quando il paziente risiede in luoghi dove non è disponibile un trattamento raccomandato per il DOC, per cui un intervento più concentrato nel tempo sarebbe più fattibile; oppure, quando, come nel caso del DOC post partum, l’evoluzione è rapida e l’intervento intensivo può avere una valenza oltre che terapeutica per la madre, anche preventivo-promozionale per l’adeguato sviluppo del bambino.

Bibliografia

Abramowitz, J., Schwartz, S., Moore, K., & Luenzmann, K. (2003). Obsessive-compulsive symptoms in pregnancy and puerperium: a review of the literature. Journal of Anxiety Disorders , 461-478.
Forray, A., Focseneanu, M., Pittman, B., McDougle, C., & Epperson, C. (2010). Onset and Exacerbation of Obsessive – Compulsive disorder in Pregnancy and the Postpartum Period. J Clin Psychiatry , 1061-1068.
Mancini, F. (2005). Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. In B. Bara (A cura di), Il manuale di terapia cognitiva. Torino: Bollati Boringhieri.
Oldfield, V., Salkovskis, P., & Taylor, T. (2011). Time-intensive cognitive behaviour therapy for obsessive-compulsive disorder: A case series and matched comparison group. British Journal of Clinical Psychology , 7-18.
Salkovskis, P. M., Forrester, E., Richards, H. C., & Morrison, N. (1998). The devil is in the detail: Conceptualising and treating obsessional problems. In N. W. Tarrier, & G. Haddock (A cura di), Treating complex cases: The cognitive behavioural therapy approach. Chichester: Wiley.

2 risposte a “Time – intensive CBT: una risposta al DOC post partum?”

  1. L’argomento è molto interessante, sopratutto per quanto riguarda le evenutuali implicazioni nella relazione madre-bambino, esistono delle linee guida a riguardo?

  2. Per il DOC con esordio in gravidanza e nel post partum, non sono riportate linee guida NICE specifiche, occorre rifarsi alle indicazioni generali per il DOC (NICE, 2006).
    Per quanto esistano degli studi in cui si valuta l’ipotesi che si possa parlare di un sottotipo di DOC, non ci sono robuste evidenze scientifiche in tal senso (McGuinnes, Blissett & Jones, 2011), pertanto il funzionamento del disturbo, e di conseguenza, il protocollo di trattamento sono quelli del DOC in generale. Ciò non toglie che sia importante prestare una particolare attenzione ad alcuni aspettio caratteristici del disturbo, come il peculiare assetto neurofisiologico dato dallo stato di gravidanza e dall’allattamento, l’oggettivo aumento della responsabilità dato dal compito di proteggere e curare il bambino e il particolare significato che la valutazione secondaria assume nel profilo interno del disturbo per la puerpera. Quest’ultimo elemento è di particolare rilevanza, dal momento che autosvalutazioni circa il proprio ruolo di madre potrebbero rischiare di sfociare in vissuti depressivi. Potrebbe iniziare da qui la comorbilità con la depressione post partum?

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