Il modello CBT della Resilienza di Christine Padesky

di Barbara Basile 

Il costrutto di resilienza, in letteratura, viene inteso sia in termini di processo (o risultato) che come una caratteristica stabile di personalità (Lecomte, 2002). Nel primo caso si tratta di un processo dinamico che favorisce un adattamento efficace a situazioni di vita stressanti (Luthar et al., 2000), nel secondo, invece, ci si riferisce alla capacità dell’individuo di adattarsi a circostanze variabili utilizzando un repertorio flessibile di comportamenti per risolvere i problemi della vita (Block e Block, 1980).

Nell’ambito  della terapia cognitivo-comportamentale (CBT), le tecniche e le strategie psicoterapeutiche si possono applicare non solo per alleviare i sintomi in condizioni di psicopatologia, ma anche per promuovere qualità, risorse o punti di forza di un individuo, in modo da migliorarne le capacità di auto-riparazione e di adattamento all’ambiente. Sulla resilienza in ambito clinico si è focalizzata soprattutto la psicologia positiva, all’inizio di questo secolo. Negli anni a seguire anche la CBT ha iniziato a concentrarsi su questo aspetto, con lo scopo di introdurre tecniche e strategie in grado di incrementare la resilienza del paziente in modo da mantenere i benefici ottenuti durante il corso del trattamento psicoterapico e di prevenire possibili ricadute.

In particolare, Padesky e Mooney (2012) hanno proposto un modello, CBT-based, in grado di aiutare i pazienti a sviluppare un modello di resilienza individuale, in modo da promuovere quelle abilità che permettono di gestire e superare gli ostacoli e le difficoltà della vita, senza necessariamente ricadere in specifici disturbi ansiosi o depressivi. La promozione della resilienza offre diversi vantaggi, come l’imparare ad insistere quando confrontati con ostacoli o problemi che si possono risolvere, il saper desistere ed accettare quando le circostanze quando non sono modificabili e così via.

Il modello, definito Strenghts-based  (letteralmente, “basato sui punti forza”) sviluppato da Padesky nell’ultimo decennio si articola in quattro fasi che favoriscono lo sviluppo della resilienza individuale attraverso specifiche tecniche CBT, come la scoperta guidata, gli ABC e gli esperimenti comportamentali. In una prima fase il modello propone di individuare i punti forza del paziente, quindi, di costruire un modello di resilienza personale (PMR) ad hoc per l’individuo, di applicare il PMR ai domini di vita problematici, e, infine, di agire concretamente la resilienza.

La prima fase prevede il riconoscimento dei punti forza del paziente, includendo le strategie, le credenze e le caratteristiche personali che l’individuo possiede e che possono facilitare l’applicabilità della resilienza. Queste caratteristiche includono: un temperamento flessibile e adattabile, un attaccamento sicuro, buone capacità interpersonali (tra le quali il sapere chiedere aiuto), cognitive ed intellettive, (i.e., saper pianificare, ragionare e prendere decisioni in modo adeguato), possedere una buona abilità di regolazione delle emozioni, essere auto-ironici e creativi, saper cooperare e, last but not least, avere fiducia in se stessi e credere nel valore della vita (Davis, 1999).

Il modello CBT della resilienza personale sostiene vi siano diversi modi per migliorare le qualità dell’individuo, senza dover necessariamente insegnare al paziente altre abilità o nuovi modi di ragionare. Il terapeuta, piuttosto, può aiutare l’individuo a identificare i punti di forza di cui è già in possesso e in modo da costruire, a partire da questi, un proprio modello di resilienza individuale. Ad esempio, chi possiede una buona abilità di problem solving e uno spiccato senso di humor può seguire e potenziare queste caratteristiche, che già possiede, per incrementare la propria resilienza anche in altri domini della propria vita, o chi, invece, ha buone capacità interpersonali può favorire la resilienza attraverso questo tipo di risorsa. I punti forza da incoraggiare includono l’approfondimento e l’esplorazione delle aree che la persona predilige spontaneamente, verso le quali è appassionato e in cui è già parzialmente allenato (anche se non collegate ai domini per lui problematici), senza, invece, investire nuove risorse ed energie nello sviluppo di skills nuove e inesplorate. In questo modo è possibile favorire e rinforzare abilità e risorse che il paziente già possiede e che, non essendo connesse con gli aspetti sintomatologici, non sono influenzati da bias cognitivi o da comportamenti disfunzionali. Questa fase si realizza esaminando attentamente le attività quotidiane del paziente in modo da individuare i suoi interessi e le capacità di cui è già in possesso. Le aree da esplorare che potenzialmente favoriscono la resilienza includono hobby o abilità specifiche (i.e., musica, sport, fotografia, disegno), l’interesse verso amici, familiari o animali, o le attività quotidiane, come il cucinare, fare giardinaggio, cucire, etc. Una volta identificato un dominio adatto, il terapeuta inizia a manifestare un vivo interesse verso l’attività proposta dal paziente, ad esempio annuendo, sorridendo o fornendo feedback positivi, in modo da rassicurare il paziente circa l’importanza del condividere questa esperienza con il terapeuta.

Nella seconda fase il compito del terapeuta e del paziente è di creare insieme un modello di resilienza personale (PMR) adattato alle necessità del paziente, basato su quanto identificato nella fase precedente. Il terapeuta può introdurre al paziente il concetto di resilienza dicendo:
“Ho notato che era particolarmente appassionato e che sembrava mostrare una certa padronanza mentre mi parlava delle sue piante, di come le cura e di quello che fa per mantenere il suo giardino in ordine … Capisce cosa intendo dire? Mi chiedo se non potremmo trovare insieme un modo per applicare ed estendere questa modalità anche ad altre sfere della sua vita, in modo da provare ad usare le stesse tecniche e strategie che applica per risolvere i problemi relativi al giardinaggio anche ad altri contesti”.

In questa fase è importante aiutare il paziente a sviluppare delle metafore e delle immagini proprie, che gli permettano di memorizzare in modo più duraturo ed efficace il concetto di resilienza, in modo da poterlo richiamare più facilmente nei momenti di difficoltà.

Una volta creato e condiviso un modello di PMR, in un terzo step il paziente viene aiutato nell’espandere e mantenere questa resilienza in aree disfunzionali o problematiche della sua vita. L’aspetto centrale di questa fase è di rimanere “resilienti” nonostante le difficoltà, piuttosto che cercare di risolverle, prevenirle o evitarle. Questo cambio di prospettiva rappresenta di per sé un evento innovativo per i pazienti, i quali trovano sorprendente e fonte di sollievo scoprire che possono anche non-risolvere il problema, ma, piuttosto, rimanere fermi di fronte ad esso senza far nulla.

Nell’ultima fase del CBT Strenghts-based Model paziente e terapeuta identificano e pianificano nel dettaglio gli esercizi comportamentali da mette in atto per aumentare la resilienza nelle aree più problematiche, sotto un’iniziale supervisione del clinico. Questa procedure viene eseguita attendendosi alle classiche procedure comportamentali pianificando nei dettagli ogni fase dell’esperimento, facendo, per iscritto, delle previsioni sugli esiti possibili. A differenza degli esercizi comportamentali tradizionali, questi compiti non hanno la funzione di testare specifiche convinzioni e credenze, quanto piuttosto di verificare l’efficacia del modello PMR costruito con il paziente, attraverso predizioni relative alle proprie capacità di resilienza, al loro effetto, alle loro conseguenze e agli eventuali insuccessi.

Il modello proposto dalla Padesky ha lo scopo di promuovere nel paziente una maggiore flessibilità nel repertorio comportamentale in modo da garantire un migliore adattamento e fronteggiamento delle difficoltà della vita. Per facilitare questo processo di “apertura” il terapeuta identifica, elogia e rinforza le qualità e le risorse di cui il paziente è già in possesso, favorendo l’instaurarsi di spirali virtuose. L’incoraggiamento, la dimostrazione di un genuino interesse verso il paziente e l’esortazione ad una maggiore creatività, anche nello sviluppo di metafore e immagini personalizzate, permettendo di promuovere un maggiore senso di auto-efficacia. Invece, ad esempio, di focalizzare sugli aspetti cognitivi negativi, per esempio chiedendo “perché ha avuto il pensiero di non essere stato in grado di affrontare bene la settimana?”, il terapeuta incoraggia il paziente con domande positive, come “cosa avrebbe voluto fare, invece di quello che ha (o non ha) fatto?” o “cosa potrebbe fare la prossima volta per affrontare meglio la settimana?”, ponendo cioè l’enfasi, anche tramite la scoperta guidata, sulla promozione di abilità, emozioni e pensieri positivi in grado di aumentare il livello di benessere individuale (vedi la Broaden-and-Build Theory delle emozioni positive della Fredrickson).

Alcuni aspetti del modello PMR ricalcano concetti noti nell’ambito dell’Acceptance and commitment therapy (ACT, Hayes et al., 2009), come ad esempio l’aumento e l’incoraggiamento della flessibilità psicologica (focus principale dell’approccio ACT) , l’inefficacia della strategia di controllo in alcune situazioni problematiche (il controllo è il problema) e l’intraprendere un’azione concreta.

Riferimenti bibliografici

Block J., Block J. H. (1980), The California Child Q-set, Paolo Alto: Consulting Psychologists Press.

Davis, N.J. (1999)., Resilience: Status of research and researchbased programs. Working paper, Center for Mental Health Services, Substance Abuse and Mental Health Services Administration, U.S. Department of Health and Human Services; Rockville, MD.

Fredrickson, B.L. (2001), The role of positive emotions in positive psychology: The broaden-and-build theory of positive emotions. The American Psychologist, 56(3), 218226.

Hayes, S.C., Strosahl, K.D. & Wilson, K.G. (1999),  Acceptance and commitment therapy: An experimental approach to behavior change. New York: The Guilford Press.

Lecomte J. (2002), Qu’est-ce que la résilience? Question faussement simple. Réponse nécessairement complexe, Pratiques Psychologiques (La résilience), 1, Le Bouscat: Editeur L’Esprit du temps.

Luthar S. S., Cicchetti D., Becker B. (2000), The construct of resilience: A critical evaluation and guidelines for future work, Child Development, 71, 543–562.

Padesky, C.A., Mooney, K.A. (2012), Strengths-based cognitive-behavioural therapy: a four-step model to build resilience, Clin Psychol Psychother, 19(4), 283-290.

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