I massimi esperti statuitensi sulle emozioni (James Gross, Lisa Barrett, Tor Wager) e diversi professori israeliani, tra cui Talma Hendler, Gal Sheppes, Maya Tamir e Hillel Aviezer, sono riuniti nel Campus Universitario di Tel Aviv, in Israele, per condividere e confrontarsi sui modelli di funzionamento e i risultati comportamentali, elettrofisiologici e neuronali degli studi che, negli ultimi anni, hanno indagato le Emozioni.
Apre i lavori Talma Hendler (Tel Aviv University) e la segue Lisa Barret (Northeastern University, USA) introducendo il suo nuovo modello neuro-scientifico (the Conceptual ACT Theory) che si pone l’obiettivo di caratterizzare il substrato neurobiologico delle emozioni. La professoressa ricorda che, come erroneamente sostenuto fino a pochi anni fa, non esiste una singola area cerebrale responsabile dell’elaborazione di un’emozione, ma piuttosto che sono i network, composti da diverse strutture (coinvolgendo prevalentemente aree sottocorticali, come il sistema limbico), a spiegare il differente substrato emotivo. Ad oggi, ad esempio, i dati indicano che sono la paura e il disgusto le emozioni su cui si ha una maggiore concordanza circa i pattern cerebrali coinvolti.
Nell’approccio allo studio delle emozioni, Hillel Aviezer (Hebrew University of Jerusalem) mette in guardia circa la facilità con cui si tende a credere che le espressioni facciali (spesso usate negli esperimenti come materiale stimolo) siano sufficienti per identificare un’emozione. Diversi studi, che hanno utilizzato video pubblicati su YouTube (mostrando solamente i visi di giocatori di tennis, persone mentre si facevano fare un piercing, o uomini o donne durante l’esperienza dell’orgasmo) hanno mostrato quanto il ruolo del corpo sia fondamentale nella corretta identificazione di uno stato emotivo. In particolare, i risultati di questi studi spiegano che l’espressione del viso può fornire indicazioni circa l’intensità (arousal) dell’emozione, ma, nei casi in cui questa è particolarmente elevata, la mancata integrazione delle informazioni provenienti dal corpo, può portare ad una errata attribuzione della valenza dello stato emotivo.
James Gross (Standford University, USA), uno dei maggiori esperti nella ricerca sulle emozioni, elenca le principali strategie usate nella regolazione delle emozioni, soppressione e ristrutturazione (reappraisal), e ne identifica gli effetti a livello cognitivo, sociale, fisiologico e cerebrale. La ristrutturazione cognitiva, basata sul presupposto che non esista una realtà oggettiva, ma solo tante “realtà costruite” che si creano attraverso la comunicazione e l’interazione sociale (Watzlawick, 1997), rappresenta uno degli strumenti maggiormente utilizzati in Terapia Cognitiva. Il professore dimostra sperimentalmente come nella soppressione emotiva (istruendo i soggetti ad usare la soppressione durante la visione di un filmato altamente impressionante di un intervento chirurgico), si possano rilevare un incremento dello sforzo cognitivo (per esempio, diminuendo le capacità di memoria), dei costi sociali, dei parametri fisiologici e dell’attività cerebrale. Di contro, quando si utilizza la ristrutturazione cognitiva (invitando i partecipanti ad osservare l’intervento come se fossero dei medici, focalizzando sulla tecnica e la destrezza del chirurgo) le capacità cognitive, così come quelle sociali, sono preservate e si osserva un decremento negli indici fisiologici e nell’attività neuronale (per esempio, nell’insula). In collaborazione con i colleghi israeliani, in altri studi che hanno applicato la medesima procedura a coppie di lunga data, si è mostrato come la ristrutturazione cognitiva (rispetto alla soppressione o ad indicazioni neutre) abbia un effetto positivo sul benessere matrimoniale e sulla risoluzione di conflitti coniugali (Finkel & Gross, 2013).
Sulla stessa scia, Gal Sheppes (Tel Aviv University) mette a confronto l’efficacia delle strategie di distrazione e di ristrutturazione cognitiva, comunemente usate nella regolazione di stati emotivi negativi. Attraverso una serie di esperimenti, in cui i partecipanti erano stati invitati a scegliere quale strategia usare tra le due di fronte ad immagini emotivamente intense o a stimolazioni dolorose, il ricercatore identifica i fattori che guidano la scelta nei diversi tipi di situazione. Sebbene di breve efficacia, la distrazione viene preferita soprattutto quando siamo confrontati con eventi negativi particolarmente intensi e dove, invece, la ristrutturazione rappresenterebbe la strategia elettiva. La stessa scelta viene effettuata anche quando si è indotti (attraverso compensi economici) ad optare per la ristrutturazione, in realtà più efficace e duratura nel tempo. Prova di questa superiorità è stata dimostrata anche da una serie di studi su popolazioni israeliane e palestinesi, dove è stato mostrato come intervenire sulla ristrutturazione cognitiva e sulla modificazione delle credenze giochi un ruolo fondamentale nel ridurre la resistenza dei pregiudizi di una popolazione verso l’altra (Gross, 2000). Un effetto analogo, a favore della maggiore utilità della ristrutturazione cognitiva rispetto ad altre strategie, era stato osservato in popolazioni cipriote e greche e in alcune etnie della Ex-Jugoslavia.
Maya Tamir (Hebrew University of Jerusalem) riporta i dati sull’elaborazione delle emozioni in pazienti depressi. In un recente studio con Milgram (“Quali emozioni vogliono sentire i depressi?”, in corso di stampa) gli autori spiegano che i pazienti depressi mostrano una sorta di “preferenza elettiva” verso i vissuti di tristezza e che questa predilezione è mediata dalla percezione di sé che hanno i pazienti. Se la tristezza viene identificata come un’emozione caratteristica e prototipica del sè, vi sarà una maggiore frequenza ed intensità di questi vissuti, contribuendo, in questo modo, al mantenimento dei circoli viziosi depressivi. Inoltre, i dati lasciano ipotizzare che i pazienti depressi preferiscano “sentirsi tristi” piuttosto che “non sapere quale emozione provare”.
Direi che per noi cognitivisti, per i quali nella pratica clinica la ristrutturazione cognitiva ha un certo valore, il “take home message” di questo convegno non è male…