Mansell e il Transdiagnostic Approach al V Forum sulla Psicoterapia

di Roberta Trincas Roberta Trincas

Quest’anno La V edizione del Forum sulla Psicoterapia di Assisi è stata caratterizzata da una novità: la presenza del Dr. Warren Mansell dell’Università di Manchester. Questa è stata un’ottima occasione per gli allievi di APC-SPC e di Studi Cognitivi per ampliare il background teorico e clinico su un approccio alla CBT di livello internazionale.

Al primo impatto siamo rimasti stupiti perché all’apparenza il Dr. Mansell ha l’aria di un ragazzo ai primi anni dell’Università, mentre al di là dell’aspetto esteriore è docente di psicologia all’Università di Manchester, Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale e Psicologo Clinico, autore di più di 100 pubblicazioni sulla CBT e nel 2011 vincitore del May Davidson Award della British Psychological Society per il suo contributo al campo della psicologia clinica nei primi dieci anni della sua carriera!

Il modello terapeutico presentato dal Dr. Mansell è un approccio Transdiagnostico alla CBT che si fonda sul Metodo dei Livelli. Per Transdiagnostico si intende una forma di terapia che, piuttosto che focalizzarsi su protocolli di intervento specifici per diversi disturbi mentali, prende in considerazione la presenza di alcuni processi cognitivi o comportamentali che accomunano i diversi disturbi e ha come scopo quello di alleviare la sofferenza del paziente piuttosto che lavorare direttamente sul sintomo. Tale approccio prende spunto da diverse ricerche (Harvey et al., 2004) che hanno dimostrato l’esistenza di ben 15 processi presenti in diversi disturbi mentali, come per esempio l’evitamento, il controllo dei pensieri, i bias attentivi, il ragionamento emozionale, ecc. In particolare, a partire da queste considerazioni il Dr. Mansell ha ipotizzato l’esistenza di un unico processo di base (core process) comune ai diversi processi transdiagnostici identificati: il controllo. A tal proposito, prende spunto dalla Teoria del Controllo Percettivo, e porta diverse prove di ricerca e osservazioni cliniche a favore dell’idea che il controllo sia un fattore implicato nella sofferenza psichica (es. la perdita di controllo) e nel processo di guarigione.

Specificatamente, il Metodo dei Livelli si basa sull’idea che ciò che genera la sofferenza psichica nei pazienti sia la percezione di “perdita di controllo” sulla propria vita, in altre parole ciò si verifica nel momento in cui la persona cerca di controllare un’esperienza a discapito di scopi personali importanti, senza esserne consapevole. Tale tentativo di controllo genererebbe un conflitto tra due scopi incompatibili. Per esempio, Mary cerca di controllare la propria ansia evitando le riunioni di lavoro o facendo assenze sul lavoro, in questo modo compromette uno scopo importante: essere efficace e soddisfatta sul lavoro. L’obiettivo del MdL è proprio quello di aiutare il paziente ad avere consapevolezza di tale conflitto e di spostare il focus sugli scopi personali di alto livello e sui suoi valori. Per esempio, riprendendo il caso clinico di Mary, il lavoro terapeutico è stato quello di aiutarla ad esplorare il conflitto tra lo scopo di “esporsi sul lavoro” vs lo scopo di “non essere rifiutata”, e a focalizzarsi su uno scopo di alto livello: “essere accettata per quello che è”. Tale approccio si avvale di pochi e semplici strumenti di intervento: il questioning, cioè porre domande specifiche sul problema presentato dal paziente (che ricorda il dialogo socratico); e porre attenzione alle “interruzioni” al fine di spostare la consapevolezza del paziente sul momento presente (per esempio, porre domande su un sorriso o una smorfia che denotano pensieri o emozioni elicitati nel momento in cui il paziente sta parlando del proprio problema).

In sintesi, il Metodo dei Livelli appare un approccio chiaro e semplice, che prende spunto da teorie già esistenti, ma che si focalizza su aspetti fino ad ora poco considerati o, forse, non ben esplicitati. Inoltre, da alcuni anni ha portato allo sviluppo di diversi studi di efficacia ed è tutt’ora oggetto di ricerca.

Troverete diverse ricerche e paradigmi sul modello Transdiagnostico nelle slide del Dr. Mansell presentate al Forum, inoltre potrete approfondire la teoria e la pratica dell’approccio terapeutico del Metodo dei Livelli leggendo la versione italiana del libro del Dr. Mansell: Warren Mansell, Carey Timoty A., e Tai Sara (2013). La terapia basata sul Metodo dei Livelli (MDL). Un approccio transdiagnostico alla TCC. Caratteristiche distintive, (trad it. a cura di Roberta Trincas), Franco Angeli.

Infine, potrete trovare diverse ricerche sui processi transdiagnostici nel seguente libro:

Harvey, A. G., Watkins, E., Mansell, W., & Shafran, R. (2004). Cognitive Behavioural Processes Across Psychological Disorders: A Transdiagnostic Approach to Research and Treatment. Oxford, UK: OUP.

Una risposta a “Mansell e il Transdiagnostic Approach al V Forum sulla Psicoterapia”

  1. Buonasera, sono uno psicologo specializzando psicoterapeuta ho partecipato al forum di Assisi. Premetto che non ho letto il libro del dottor Mansell ma ho solo ascoltato quanto da lui detto al forum. Devo dire che pur ascoltandolo con attenzione non ho ben capito, forse per causa mia, in quale modo quanto detto dal dottor Mansell sia innovativo per la CBT. Mi spiego meglio: in CBT si fa riferimento a vari concetti, ma un ruolo chiave lo hanno senza dubbio il concetto di scopo ed il concetto di credenza. Circa gli scopi ormai è ben risaputo e dimostrato che essi sono organizzati in modo gerarchico e che molte volte si crea tra essi un conflitto… questi sono tutti concetti cari a noi cognitivisti… Sappiamo anche che la maggiorparte delle volte la maggiorparte dei conflitti viene superata dagli individui ma sappiamo bene che non è sempre così e che spesso la psicopatologia può essere letta in un’ottica di conflitto tra scopi. Pur riconoscendo l’approccio transdiagnostico come molto affascinante in quanto permette al terapeuta di aver più chiaramente rappresentato cosa i vari funzionamenti (dis-funzionamenti direi) psicopatologici hanno in comune, ritengo che non sia da solo sufficiente per la guarigione del paziente, ma che sia sempre necessario anche un intervento specifico in base alla sintomatologia del nostro paziente. In altre parole, non penso che questo approccio non vada bene; penso, però, che da solo non sia risolutivo… come non sono risolutive da sole le tecniche senza la relazione terapeutica, o la relazione senza una cornice teorica di riferimento…
    Il discorso è sempre lo stesso: tutto è utile se inserito in un contesto più ampio… anche la visione transdiagnostica… ma da sola ritengo non sia sufficiente… Nel caso specifico, ritengo che accanto ad un lavoro volto a rendere il paziente consapevole del conflitto in lui presente ed ad un intervento volto alla risoluzione del conflitto stesso, sia comunque necessario intervenire anche in modo specifico sulle caratteristiche disfunzionali della psicopatologia del paziente, sulla sua sintomatologia… D’accordo che ci sono 15 processi presenti in tutti i disturbi mentali… ma poi le caratteristiche dei vari disturbi differiscono tra loro… così come differiscono anche le varie personalità dei singoli pazienti… Se non posso curare due ipocondriaci nello stesso identico modo (per lo meno dovrò modulare in modo differente qualche aspetto della relazione con essi e non potrò utilizzare le stesse tecniche dopo lo stesso identico numero di sedute) come posso curare patologie differenti con quadri di personalità ed esperienze differenti allo stesso modo basandomi solo una visione transdiagnostica?
    Un cordiale saluto a tutti

    Michele Lasala

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