“Regolazione emotiva: causa, conseguenza, mediatore o moderatore nella psicopatologia?”

di Katia Tenore

Riflessioni direttamente ispirate da Emotion Regulation: A Heuristic Paradign for Psychopathology di Pierre Philippot in Journal of Experimental Psychopathology, Vol 4 (2013) Issue 5, 600-607.

In questa elegante trattazione sul ruolo delle strategie di regolazione emotiva, Philippot tenta di dare risposta ad una domanda cruciale, a cui il clinico, nella sua pratica, è continuamente esposto: in che modo la sofferenza sorge e  si mantiene, nonostante il desiderio di chi la prova di fuggire da essa?La regolazione emotiva (RE) costituisce un elemento centrale della descrizione e della comprensione della psicopatologia, sebbene, su un versante diagnostico, esista ancora una grossa ambiguità. Ad esempio il DSM afferma che determinati stati emotivi costituiscono criteri diagnostici, ma, nel manuale, permane una disparità, tra questi stati ed il riferimento alle corrispondenti strategie di RE, inoltre il DSM si sofferma esclusivamente sulle strategie esternalizzate e non su tutti quei processi, che invece avvengo ad un livello intrapsichico. L’asserzione che la RE dovrebbe corrispondere ad una down-regulation delle emozioni negative e di una up-regulation delle positive, appare grossolana, in quanto esistono condizioni morbose, in cui questa regola è rispettata, come ad esempio nel caso del disturbo bipolare. Indipendentemente dalle indicazioni nosografiche, una prospettiva più completa dovrebbe prendere in considerazione la distinzione tra processo e sintomo psicopatologico, mettendo in luce eventuali nessi causali tra strategie di RE e psicopatologia.

Un campo nel quale è possibile mettere a fuoco i diversi caratteri che le strategie di RE possono assumere è sicuramente quello del rimuginio e della ruminazione.

Alcuni studi[1] mostrano che nei soggetti con GAD, in condizione di ansia e che tendono ad evitare emozioni, successivamente si manifesta un maggiore livello di rimuginio, sottolineando un collegamento funzionale tra evitamento emozionale e rimuginio, in maniera congruente con i modelli[2] che leggono nel rimuginio una forma di evitamento emozionale, che costituisce un fattore di mantenimento del GAD. Da questo punto di vista il rimuginio avrebbe, quindi, un effetto di mediazione, anche se, visto che l’effetto si manifesta solo in coloro che volontariamente sopprimono le emozioni, altri percorsi di mediazione possono esistere.

Altri studi[3] mostrano che persone che ruminano dopo l’induzione di stress sociale, presentano una minore remissione della tristezza indotta, ciò indica che la ruminazione presenta un ruolo di mantenimento dell’umore basso a seguito di una emozione negativa. Inoltre in un campione di obese[4] è stato osservato, che, dopo una induzione di insoddisfazione corporea, a differenza delle donne istruite ad accettare i propri pensieri, quelle a cui veniva chiesto di ruminare mantenevano un umore basso e un elevato livello di sofferenza per la percezione del proprio corpo. Questa osservazione supporta, dunque, l’idea che la ruminazione possa svolgere il ruolo di un determinante causale della sofferenza quando viene minacciata l’immagine di sé.

La RE è un aspetto centrale in alcune patologie, come ad esempio del Disturbo Borderline. Recenti contributi[5], si allontanano dalla comune idea che questo Disturbo sia la conseguenza di una inabilità a regolare le emozioni, proponendo piuttosto che questa condizione derivi da una tendenza a iper-regolare le emozioni. In questa prospettiva i pazienti borderline indirizzerebbero le loro energie verso la down-regulation, sperperando risorse, che non riescono ad essere investite in comportamenti funzionali.

Rispetto a soggetti di controllo, in seguito ad induzione di paura, i soggetti borderline riportano emozioni più forti in termini di paura, irrequietezza ed ostilità, un ricorso maggiore ad alcune strategie, quali distrazione, reappraisal o tentativi di soppressione delle emozioni ed un minore ricorso all’accettazione emotiva. Inoltre è stato notato che l’assenza di accettazione dell’emozione è collegata all’accrescimento dell’ostilità in risposta allo stressor. Tali osservazioni suggeriscono che alcune strategie di RE possono avere un ruolo di  mediazione rispetto all’effetto dello stressor, mentre altre strategie di RE come l’accettazione possono avere un ruolo di moderatore.

Da un ulteriore confronto[6], inoltre, emergerebbe che i soggetti con caratteristiche borderline non presenterebbero difficoltà nelle strategie di RE. Esiterebbe una correlazione positiva tra l’uso di strategie evitanti e caratteristiche borderline, ma non relazione con l’accettazione, che, in questo studio, sembrerebbe non essere più efficace dei tentativi di sopprimere le emozioni.
La RE non costituisce, dunque, esclusivamente un epifenomeno o l’espressione sintomatologica di un disturbo.

Poiché alcune strategie di RE che tradizionalmente vengono definite funzionali, quali il reappraisal, si sono dimostrate fattori di mantenimento di alcuni disturbi, Philipot propone un approccio più completo, che dovrebbe indirizzare l’attenzione verso la comprensione della funzione svolta dalla emozione nel contesto in cui essa appare, considerando quindi il ruolo strumentale della RE.

Riflessioni

La storica dicotomia tra strategie di RE positive e negative sembra non essere in grado di aiutare il clinico ad orientarsi nel discriminare quali strategie promuovere e quali invalidare. Probabilmente ciò deriva da una certa ambiguità nella definizione dei criteri con cui valutare le singole strategie. Un criterio, ad esempio, può essere quello dell’efficacia, relativo quindi al potere di una data strategia di condurre allo stato emotivo desiderato. Una prima domanda potrebbe essere quindi “Quali sono le strategie di RE che sono risolutive nel permettere un dimensionamento dell’emozione provata?”. Ma se, oltre, all’efficacia prendiamo in considerazione i costi di tale strategia, ci spostiamo sul piano dell’efficienza, per cui una determinata strategia potrebbe condurre ad uno stato emotivo desiderato, ma prevedere uno sforzo molto grande. Un’altra domanda è dunque: “Quali sono i costi in termini di risorse investite?”. Ad un livello ancora diverso si pone il piano esistenziale dell’individuo, una strategia potrebbe, ad esempio, essere efficace, poco costosa, ma frapporsi alla realizzazione degli obiettivi personali. Per cui, forse, sarebbe opportuno chiedersi: “Tale strategia è funzionale agli scopi dell’individuo, al suo progetto esistenziale?”.

Se poi inquadriamo la scelta di una data strategia e la flessibilità con cui viene impiegata, nell’ambito delle credenze del paziente rispetto alle emozioni, possiamo arricchire il quadro di una maggiore specificità, integrabile con lo specifico ruolo che le strategie di RE hanno nella specifica patologia.

Riferimenti bibliografici

  1. Cooper, S. Miranda, R and Mennin, D. “Behavioral Indicators of Emotional Avoidance and Subsequent Worry in Generalized Anxiety Disorder and Depression”. Journal of Experimental Psychopathology, Vol 4 (2013) Issue 5, 566-583
  2. Borkovec, T. D., Alcaine, O., & Behar, E. (2004). Avoidance theory of worry and generalized anxiety disorder. In R. G. Heimberg, C. L. Turk, & D. S. Mennin (Eds.), Generalized anxiety disorder: Advances in research and practice ( pp. 77-108). New York: Guilford Press.
  3. LeMoult, J. Ardite, A.  D’Avanzato, C and Joorman, J.  “State Rumination: Associations with Emotional Stress Reactivity and Attention Biases”. Journal of Experimental Psychopathology, Vol 4 (2013) Issue 5, 471-484
  4. Svaldi, J. Naumann, E. Trentowska, M. Lackner, H, Tuschen-Caffier, B and colleagues “Emotion Regulation and its Influence on Body-Related Distress in Overweight Women”. Journal of Experimental Psychopathology, Vol 4 (2013) Issue 5, 529-545
  5. Chapman, A.  Dixon-Gordon, K. Walters, K. “Borderline Personality Features Moderate Emotion Reactivity and Emotion Regulation in Response to a Fear Stressor”. Journal of Experimental Psychopathology, Vol 4 (2013) Issue 5, 451-470
  6. Evans,D. Howard,M. Dudas, R. Denman, C. and Dunn, B. “Emotion Regulation in Borderline Personality Disorder: Examining the Consequences of Spontaneous and Instructed Use of Emotion Suppression and Emotion Acceptance when Viewing Negative Films”. Journal of Experimental Psychopathology, Vol 4 (2013) Issue 5, 546-565 

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