Intervento di DM Clark sulla CBT per la Fobia Sociale (RWEP 2014)

di Barbara Basile Basile

L’intervento di D.M. Clark (Oxford University, UK) al Workshop on Experimental Psychopathology (RWEP) tenutosi a Roma, il 28 Febbraio – 1 Marzo 2014 inizia con l’osservazione secondo cui, nell’arco della loro vita, molte persone sembrano avere difficoltà nell’interazione con gli altri, ma che solo una piccola parte di queste sviluppa una Fobia Sociale (FS) conclamata. “Come mai?”, si chiede Clark.

Secondo le ultime stime, negli USA, la prevalenza della FS è del 7% e circa 1/3 delle persone che nell’arco della loro esistenza soffre di sintomi di ansia sociale migliora e guarisce spontaneamente. L’età di esordio del disturbo si colloca verso i 13 anni (e durante tutto l’arco dell’adolescenza). La FS si presenta spesso in comorbilità con sintomi depressivi, abuso di alcol e sostanze ed è spesso accompagnata da tentativi suicidari. Secondo gli ultimi dati la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è efficace nel 40% dei casi.

I punti principali da affrontare secondo l’autore e Wells (1995), nel modello sulla FS comprendono:

  1. Il focus sul sé, invece che sugli altri e su quello che accade nel contesto reale.
  2. L’utilizzo di informazioni interne, piuttosto che esterne, per valutare ed interpretare l’immagine di sé che hanno gli altri. Frasi tipiche sono: “Se mi sento ansioso significa che sembro ansioso anche agli altri”, “Gli altri possono certamente vedere quanto sono ansioso”, etc.. Diverse ricerche (Mansell et al., 2003; Hirsch, Mansell & Clark, 2004) hanno mostrato in modo abbastanza univoco che, quando ci si sente agitati, automaticamente si tende a sovrastimare il livello di ansia che traspare all’esterno (mood as information bias). Di fatti, i pazienti con FS che vengono filmati e a cui poi viene mostrato il loro video,  solitamente si sorprendono per quanto osservano! In altre parole, essi si aspettano di sembrare molto più nervosi e ansiosi di quanto, invece, non appaiano nei video (“Ma sono molto meno rosso di quanto non pensassi!”).
  3. L’utilizzo di safety behaviours (comportamenti protettivi/di sicurezza), in modo da evitare la catastrofizzazione delle situazioni sociali e il mantenimento di bias che mantengono le convinzioni fobiche. Se, per esempio, una persona, in situazioni sociali, è costantemente concentrata nel memorizzare e nel rassicurarsi sui propri comportamenti ansiosi, finirà per non prestare attenzione alla relazione in corso, trasmettendo agli altri sensazioni di distacco o scarso interesse che, inequivocabilmente, finiscono per confermare lo scarso coinvolgimento altrui nella relazione e, quindi, le convinzioni negative del paziente (cicli interpersonali negativi confirmatori).

Un altro aspetto fondamentale che sembra contribuire all’esordio della FS, è caratterizzato dall’aver vissuto esperienze traumatiche (Wild & Clark, 2011). In queste occasioni i pazienti possono aver vissuto direttamente o assistito a situazioni ansiose o associate alla vergogna che possono avere avuto un ruolo nello sviluppo dell’ansia sociale.

Clark

Figura. Modello CBT di Clark & Wells (1995) sulla Fobia sociale. Dall’International Handbook of Social Anxiety: Concepts, Research and Interventions Relating to the Self and Shyness. Edited by W. Ray Crozier and Lynn E. Alden.
© 2001 John Wiley & Sons Ltd.

Fasi di trattamento:

  1. Condivisione del modello personalizzato con il paziente.
  2. Promozione di esercizi che mostrano gli svantaggi che derivano da uno spostamento dell’attenzione sul sé (piuttosto che sugli altri) e dei comportamenti protettivi (safety behaviours).
  3. Utilizzo di video con il paziente per confrontarlo con i suoi bias su come appare all’esterno.
  4. Training attentivo, per incrementare la capacità di focalizzarsi sugli altri.
  5. Esperimenti comportamentali con lo scopo testare le proprie predizioni catastrofiche nelle situazioni sociali.
  6. De-catastrofizzazione (i.e., “cosa succede di cosi tremendo se accade X?”. Ad esempio, truccarsi il viso di rosso intenso per sondare le reazioni degli altri, o gettarsi volontariamente dell’acqua addosso, in modo da verificare le eventuali reazioni altrui ad eccessive sudorazioni).
  7. Utilizzare l’imagery with rescripting per modificare esperienze  traumatiche precoci (Wild & Clark., 2011).

 Clark suggerisce anche “Cosa non fare” nel trattamento CBT della FS, ovvero:

  1. Creare liste ordinate per livello di ansia delle situazioni ansiose.
  2. Ripetere le esposizioni per favorire l’abituazione.
  3. Valutazione dell’intensità dell’ansia durante tutte le situazioni sociali (questo rischia di  aumentare l’attenzione focalizzata sul sé).
  4. L’usare il diario di monitoraggio o gli ABC per registrare le situazioni ansiose (poiché entrambi favoriscono il rimuginio).
  5. Ri-attribuzione in termini razionali delle situazioni sociali ansiogene.
  6. Effettuare un social skill training, poiché, secondo l’autore, i pazienti sono già in possesso delle abilità sociali che permetterebbero loro di far fronte alle situazioni sociali. In realtà essi sono soltanto incapaci di usarle, a causa delle loro credenze patogene e dell’eccesiva attenzione sul sé.

In merito agli studi di efficacia sul modello CBT per la FS di Clark, questo si è mostrato essere più efficace rispetto alla Terapia Interpersonale, alla quella Psicodinamica, al placebo, al TAU, al trattamento farmacologico a base di SSRI, alla semplice esposizione o all’assenza di trattamento (Clark ,2006; Stangier et al., 2011; Boecking, Ehler & Clark 2011; Hedeman et al., 2013). Inoltre, in uno studio recentissimo (Clark & Ehler, 2014) si è mostrato che la CBT che si avvale per la metà delle sedute di training individuale (self-assisted CBT) risulta più efficace della CBT tradizionale effettuata vis a vis con il terapeuta. Questo dato motiva, suggerisce Clark, alla necessità di mettere a punto dei nuovi trattamenti basati sull’utilizzo di programmi via internet, in modo da permettere una maggiore fruibilità di questo modello ai pazienti affetti da ansia sociale.

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