di Chiara Lignola e Niccolò Varrucciu
Venerdì 12 e sabato 13 giugno presso l’Auditorium Via Rieti si è tenuto il workshop “DBT-PTSD: trattamento degli esiti psicopatologici degli abusi sessuali infantili” organizzato dalla SITCC Lazio e dalla Società Italiana Dialectical Behavior Therapy. Il seminario (per una sintesi dell’evento, a cura di Barbara Basile, è possibile collegarsi a questa pagina) è stato condotto dal Prof. Martin Bohus, professore ordinario dell’Università di Heidelberg e Direttore della Clinic for Psychosomatic Medicine and Psychotherapy di Mannheim, Board Member della German Association of Psychiatry (DGPPN), vice-Presidente of the European Society for the Studies of Personality Disorders (ESSPD) e presidente of the German Association for DBT.
Lo stile puntuale e coinvolgente del prof. Bohus ha tenuto alta l’attenzione dell’uditorio, evitando di trasformare il workshop nella “solita” lezione teorica sui principi della DBT che, purtroppo come a volte accade, lascia poco spazio all’illustrazione del trattamento, così utile a noi clinici. Le preziose nozioni teoriche si sono infatti intervallate con esercizi pratici di compassion, mindfulness, defusione, esempi clinici e interventi che, facendo sorridere i presenti, hanno permesso una migliore comprensione delle dinamiche della psicopatologia ed evidenziato come spesso i terapeuti abbiano riluttanza a parlare degli episodi traumatici riguardanti abusi sessuali, spezzettando il racconto in più incontri e trattando i pazienti borderline come oggetti particolarmente fragili… un po’ come se un urologo, citando Bohus, ci proponesse vari incontri nei quali nel primo si tolgono i pantaloni, nel secondo l’intimo…
Il rischio è, dunque, anche quello di alimentare la paura del paziente che il terapeuta non sia in grado di tollerare i dettagli di quanto gli è successo “potete parlare della vostra vita con la vostra fidanzata o dal barbiere ma purtroppo non ci sono dati che dimostrano che raccontare la propria vita aiuti a gestire la propria regolazione emotiva”.
“Trauma first!” Ancora prima di insegnare al paziente social skills per gestire la propria regolazione emotiva, Bohus propone di lavorare sul trauma partendo dalla conoscenza dei meccanismi di fuga emotivi, cognitivi e comportamentali messi in atto dal paziente prima.
I pazienti vogliono cancellare il trauma e non accettarlo, la terapia è invece rivolta a valutare il trauma come parte della propria vita: ricordare il trauma senza perdere il contatto con la realtà e considerarlo come appartenente al passato. “Sei sopravvissuto a quel periodo e sopravvivrai ai pensieri e ai ricordi di quel periodo.” L’intervento dev’essere così preciso che il prof. Bohus parla, utilizzando una similitudine, di “chirurgia psicologica”.
Nell’analisi delle fasi del trauma, il Prof. Bohus effettua una comparazione con il lutto. In questo processo il terapeuta assume il ruolo di quegli amici e parenti che si prendono cura di chi è in lutto, cercando di fornire tutto il supporto necessario rispettando i confini della persona al fine di non risultare invadente e limitare così l’efficacia del proprio intervento “un po’ come quando in alcune culture il vicinato prepara i pasti per la famiglia colpita dal lutto lasciandoli poi fuori dalla porta, senza entrare in casa”.
Una delle parti fondamentali di questo trattamento consiste nel gestire adeguatamente gli stati dissociativi del paziente al fine di permettere una corretta e consapevole rielaborazione della memoria dell’evento traumatico. Per questo sono state indicate semplici strategie utili al riconoscimento e alla gestione degli stati dissociativi.
Per rendere ulteriormente comprensibile la fase di esposizione al trauma è stato proiettato un video che ben ha mostrato i ruoli di terapeuta e paziente e l’interazione che avviene durante la seduta: il paziente viene esposto alla rievocazione del trauma stando in equilibrio su una pedana circolare sulla quale deve cercare di rimanere sorretto dal sostegno del terapeuta, quando il paziente stesso lo desideri: essere nella condizione di dover mantenere l’equilibro impedisce la dissociazione. Il paziente allora inizia a raccontare l’evento traumatico e una volta che il paziente riesce a sperimentare l’emozione core il terapeuta effettua continui confronti fra la situazione passata, in cui effettivamente ha sperimentato il trauma, e quella attuale, nella quale c’è l’emozione ma in assenza di un trauma effettivo. Con il passare delle sessioni la realtà del paziente verrà ri-orientata correttamente, permettendogli di superare quel “terribile” evento. Questo lavoro continuerà per tutti i traumi riportati.
L’intervento del Prof. Bohus ha assunto una particolare rilevanza nell’assegnare alla psicoterapia un ruolo sempre più rilevante nella cura del paziente grave e incoraggiando giovani clinici e ricercatori nel proseguire in questo cammino tanto arduo quanto ricco di soddisfazioni.