Overgeneral memory e disturbo depressivo: perché?

di Rosina Misasi, Università Guglielmo Marconi, Roma[1]

Il fenomeno overgeneral memory (OGM), caratteristica costante dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore (Williams 1996), è un ipergeneralizzazione dei ricordi autobiografici che riflette la difficoltà a recuperare una memoria specifica. Ma perché ciò accade nei pazienti con MDD?

La conoscenza di base della memoria autobiografica (autobiographical memory knowledge base) è composta da conoscenze relative al Sé organizzate in un magazzino di memorie autobiografiche secondo tre livelli di specificità (Conway e Pleydell-Pearce 2000).

Il livello più alto si riferisce a periodi di vita (life time periods), il livello intermedio a eventi generali (general events) e il livello più basso alla conoscenza specifica dell’evento (ESK, Event Specific Knowledge) ovvero ricordi di episodi unici, dettagliati e specifici relativi ad ore, minuti o secondi. I periodi di vita e gli eventi generali sono presenti sottoforma di riassunti concettuali, al contrario, la conoscenza specifica dell’evento (ESK) consta di aspetti sensoriali – percettivi concreti di eventi unici. All’interno del modello di Conway e Pleydell-Pearce (2000) altro elemento centrale è il working self (un insieme gerarchico di processi che struttura in ricordi autobiografici le rappresentazioni cognitive delle proprie esperienze personali, regolando e limitando la discrepanza tra una rappresentazione ideale della realtà e una maggiormente veritiera ma mai contraddittoria). Working self e autobiographical memory knowledge base, interagiscano tra loro attivando i tre livelli di conoscenza che generano il recupero di una memoria. Per arrivare ad una comprensione di come e perché si presenti il fenomeno overgeneral memory nei pazienti con MDD e di come questa peculiarità della memoria possa influenzare il medesimo disturbo mantenendolo in vita, il modello Car-FA-X (Williams e C., 2007) evidenzia tre meccanismi: cattura e ruminazione (Car), evitamento funzionale (FA) e compromissione del controllo esecutivo. Riguardo l’evitamento funzionale, è stato ipotizzato (Williams e C., 2007) che l’associazione tra emozioni negative e recupero specifico possa dar luogo ad un evitamento passivo di eventi specifici avversi. In particolare, l’evitamento delle componenti sensoriali e percettive di un evento che, se attivate, potrebbero generare sofferenza nell’individuo. La strategia di interruzione della ricerca prima di accedere a queste rappresentazioni specifiche, evitando conseguenze avverse, verrà rinforzata. Ne risulta un evitamento cognitivo: la “dysfacilitation” di un processo cognitivo che si teme possa condurre a conseguenze spiacevoli. Ipotizzando che la “dysfacilitation” sia una modalità con la quale gli individui affrontino un problema essa, per alcuni, potrebbe rimanere una strategia flessibile ed utile nell’allontanare emozioni negative, per altri potrebbe, invece, svilupparsi in un modello inflessibile e abituale (Raes, Hermans, Williams e Eelen, 2006). Riguardo la “cattura” e la ruminazione è utile osservare come nel modello Self-Memory di Conway e Pleydell-Pearce (2000) si assume che i primi stadi di recupero della memoria usino elaborazioni di natura più concettuale: molte delle descrizioni intermedie di fatto, sono concettualmente delle auto rappresentazioni e includono memorie personali semantiche, come ad esempio nomi di amici, attributi auto referenziali, e/o rappresentazioni di aspetti generici del Sé e dell’esperienza (Conway e C., 2004). Diverse prove suggeriscono che nei primi stadi della ricerca della memoria questa predominanza di informazioni concettuali relative al Sé, possa determinare difficoltà nel recupero di memorie specifiche. Questo è vero in particolare per individui che posseggono repertori altamente attivati, o elaborati, di auto rappresentazioni connesse a sentimenti (tali auto rappresentazioni sono presenti in soggetti che soffrono di depressione) e in individui inclini alla ruminazione (Nolen-Hoeksema, 1991), anche in questo caso soggetti depressi. Sembrerebbe che gli individui depressi invece di continuare a cercare dettagli sensorio-percettivi appropriati, siano più propensi a recuperare erroneamente conoscenza concettuale relativa al proprio Sé (che è altamente accessibile) come risposta della memoria al compito. In questo modo vi è un’aumentata proporzione di risposte categoriali associate alla depressione. In riferimento al controllo esecutivo ridotto è emerso che nei pazienti depressi questo controllo risulta insufficiente per inibire informazioni contrastanti che emergono nel processo di recupero di una memoria, con il risultato che il recupero è “dirottato” da materiale irrilevanti. Ma questi tre meccanismi come interagiscono tra loro? È probabile che l’attenzione di persone disforiche e depresse viene catturata sia da stimoli positivi che negativi finché lo stimolo traccia una corrispondenza con il costrutto che si riferisce a una rappresentazione di sé. In particolare, la ruminazione è spesso causata da una discrepanza tra la realtà e stato desiderato o obiettivi (Martin e Tesser, 1996). All’interno di questa struttura, una parola stimolo positiva potrebbe segnalare, ad una persona depressa, l’assenza di uno stato personalmente significativo e, a sua volta, attivare ulteriore ruminazione. Cioè, se una persona depressa vede lo stimolo felice, è probabile che ciò provochi un pensiero ruminativo di riferimento a sé (“Perché non so gestire meglio le cose?”; Treynor, Gonzalez e Nolen-Hoeksema, 2003) come se fosse uno stimolo negativo. Contestualmente, un controllo esecutivo ridotto implica che un’abilità indebolita volta a inibire risposte dominanti (auto referenti e ruminative), renderà ancor più difficile per l’individuo mantenere la concentrazione necessaria per recuperare un evento specifico. In altre parole, la difficoltà di recupero dei ricordi specifici nel paziente depresso può essere vista come un tipo di errore di “cattura” dovuto dall’attivazione, da parte dei descrittori intermedi, di materiale di compito irrilevante. Pazienti con disturbo depressivo sono vulnerabili a questa interruzione dell’elaborazione di un compito per due motivi. Il primo è la presenza di informazioni auto referenti salienti che portano un’aumentata proporzione di risposte categoriali associate alla depressione e ad una perdita di concentrazione. Il secondo motivo è la tendenza del paziente alla ruminazione che conduce all’attivazione di tali rappresentazioni mentali generalizzate (Nolen-Hoeksema, 1991). Per tali pazienti diventa ancora più difficile inibire risposte ruminative abituali quando ci sono rappresentazioni concettuali altamente elaborate del Sé che sono prontamente disponibili e alle quali bisogna accedere come primo stadio del processo di ricerca della memoria.

La scoperta del fenomeno overgeneral memory è importante perché tale fenomeno predice la persistenza della depressione (Dalgleish, Spinks, Yiend e Kuyken, 2001) e numerosi studi mostrano come l’ipergeneralizzazione dei ricordi giochi un ruolo in un certo numero di meccanismi che sono coinvolti nell’inizio o la permanenza di uno stato depressivo. Ad esempio l’essere ipergenerali è associato (a) alla persistenza di sofferenza emotiva, in quanto anche se si cerca di evitare il ricordo a livello esplicito la memoria implicita rimane ben conservata e di conseguenza fonte di sofferenza per il paziente, (b) alla difficoltà di problem solving (Goddard e C., 1996, 1997; Raes, Hermans, Williams, Demyttenaere e C., 2005), (c) alla difficoltà ad immaginare il futuro in modo specifico (Williams e C., 1996). Ciò potrebbe a sua volta far sorgere sentimenti di disperazione e umore depresso.

In accordo con quanto affermato da Serrano, Latorre, Gats e Rodriguez (2004) la memoria ipergenerale è un importante fattore causale nel mantenere la depressione e il fatto di renderla più specifica (con interventi adeguati) può avere conseguenze benefiche riducendo in maniera significativa disforia e disperazione.

Bibliografia

Conway, M. A., & Pleydell-Pearce, C. W. (2000) The construction of autobiographical memories in the self-memory system. Psychological Review, 107, 261–288.

Conway, M. A., Meares, K., & Standart, S. (2004). Images and goals. Memory, 12, 525–531.

Crane C., Barnhofer T., Mark J., Williams G. Cue self-relevance affects autobiographical memory specificity in individuals with a history of major depression. Memory. 2007 Apr;15(3):312-23.

Dalgleish, T., Spinks, H., Yiend, J., & Kuyken, W. (2001). Autobiographical memory style in seasonal affective disorder and its relationship to future symptom remission. Journal of Abnormal Psychology, 110, 335–340.

Goddard, L., Dritschel, B., Burton, A. (1996). Role of autobiographical memory in social problem solving and depression. Journal of Abnormal Psychology, 105, 609–616.

Goddard, L., Dritschel, B., & Burton, A. (1997). Social problem solving and autobiographical memory in non-clinical depression. British Journal of Clinical Psychology, 36, 449–451.

Martin, L. L., & Tesser, A. (1996). Some ruminative thoughts. In. R. S. Wyer (Ed.), Ruminative thoughts (pp. 1–47). Hillsdale, NJ: Erlbaum.

Nolen-Hoeksema, S. (1991). Responses to depression and their effects on the duration of depressive episodes. Journal of Abnormal Psychology, 100, 569–582.

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Raes, F., Hermans, D., Williams, J. M. G., & Eelen, P. (2006). Reduced autobiographical memory specificity and affect regulation. Cognition & Emotion, 20, 402–429.

Serrano, J. P., Latorre, J. M., Gatz, M., & Rodriguez, J. M. (2004). Life review therapy using autobiographical retrieval practice for older adults with depressive symptomatology. Psychology and Aging, 19, 272–277.

Treynor, W., Gonzalez, R., & Nolen-Hoeksema, S. (2003). Rumination reconsidered: A psychometric analysis. Cognitive Therapy & Research, 27, 247–259.

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Williams, J. M. G., Crane C. – Barnhofer T., Watkins E., Hermans D. – Raes F. – Dalgleish T, Autobiographical Memory specificity and Emotional Disorder, Psychological Bulletin Vol. 133(1), Jan 2007, pp 122-148.

Williams, J. M. G., Ellis, N. C., Tyers, C., Healy, H., Rose, G., MacLeod, A. K. (1996). The specificity of autobiographical memory and imageability of the future. Memory & Cognition, 24, 116–125.

[1] Questo articolo è estratto dalla tesi di laurea in Psicologia di Rosina Misasi, relatore prof. Francesco Mancini.

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