Corso Intensivo sulla Schema Therapy 2016: Impressioni dal Workshop 1

di Elena Bilotta

La Schema Therapy (ST) ha il fascino di un approccio che parte dal bisogno emotivo di un bambino che non è stato riconosciuto. Il bambino lasciato da solo, il bambino non visto, il bambino trattato ingiustamente o abusato, il bambino al quale non sono stati imposti dei limiti, il bambino che non ha avuto la libertà di esprimere le proprie emozioni o un modo di essere giocoso e spontaneo. La ST si propone di dare finalmente una risposta a ciò di cui il paziente ha bisogno: che qualcuno lo veda, lo riconosca e lo accompagni nel percorso di ricongiungimento tra il sé bambino e il sé adulto. La chiave di lettura del funzionamento del paziente sono i “mode”, degli stati affettivi momentanei associati a una serie di schemi e stili di coping. Il ricorso al concetto di schema, così come agli stili di coping disfunzionali, è sicuramente familiare al terapeuta cognitivista, mentre il concetto di mode sembra essere una chiave di lettura più caratteristica della ST, una chiave di lettura che forse pecca nella chiarezza della sua definizione.

Nonostante ciò, dopo qualche iniziale tentennamento, ci si trova a proprio agio anche da cognitivisti a provare a riconoscere stili personali o dei propri pazienti nei mode descritti dalla ST, e così il suo linguaggio semplice e diretto diventa subito familiare a chi vi si avvicina: Il “genitore critico”, il “bambino vulnerabile”, il “bambino arrabbiato”, l'”adulto sano”, ne sono alcuni esempi. “L’adulto sano” è solitamente il responsabile dell’egodistonia dei sintomi, e dunque il promotore della decisione del paziente di iniziare una terapia. Da terapeuti sappiamo quante volte però nel corso del trattamento l'”adulto sano” venga spodestato da altre modalità di relazione disfunzionali e problematiche, sia all’interno che all’esterno della relazione terapeutica. Ciò è particolarmente evidente nel trattamento dei disturbi di personalità, per i quali l’approccio integrato della ST è stato pensato ed elaborato.

Per informazioni sui prossimi workshop
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Ad esempio, quando ci troviamo a trattare un paziente narcisista può capitare che questi abbia attivo il mode dell'”ingiuntore”, ovvero una modalità di funzionamento legata alla pretesa di essere perfetti, di avere uno status sociale elevato, oppure che sia in “ipercompensazione” e cioè che cerchi di dominare gli altri (compresi noi terapeuti) e sia manipolativo. I mode però altro non sono che modalità compensatorie sviluppate a partire da un bisogno frustrato da bambini. Ma come si fa ad accedere a quel bisogno? È qui che si esplica l’approccio integrato della ST, perché le strategie di intervento utilizzate sono un insieme di tecniche esperienziali (imagery, imagery with rescripting, mode work con le sedie), tecniche cognitive e di psicoeducazione (tecnica della torta, vantaggi e svantaggi, test di realtà, etc.), tecniche comportamentali (diario, pattern breaking, etc.), con un focus particolare sulla relazione terapeutica (limited reparenting e confrontazione empatica).

La ST è un approccio integrato, dunque “contaminato”, ma si sposa bene con l’approccio cognitivo, perché fornisce una chiave di lettura integrativa (anche se non sempre originale, in quanto riadattata da altri approcci) al funzionamento del paziente con disturbo di personalità. Ciò che forse più di tutto si allontana dal modello cognitivo è la concettualizzazione del caso, con il focus d’intervento spostato dai sintomi ai mode. Il trattamento dei sintomi è immediato solo se questi sono particolarmente intensi da compromettere il lavoro sui mode. Nel corso di questo primo Workshop la Dott.ssa Raffaella Calzoni*, dopo aver illustrato i concetti base per la comprensione del modello della ST, ci ha fatti entrare nel vivo facendoci immergere con tutto il corpo in quello che si prova a usare la ST con i nostri pazienti. La sua passione nel farlo ci ha dato fiducia fin da subito a chiudere gli occhi, trovare una posizione comoda e a immaginare una situazione difficile vissuta di recente con un nostro paziente, a focalizzare e a dare un nome alle emozioni provate e, rimanendo in contatto con quell’emozione e sensazione, a far emergere una situazione del proprio passato, quanto più remota possibile. Abbiamo continuato l’esercizio identificando i bisogni di quel bambino o di quella bambina, e con quell’emozione, a tornare nel presente e a lasciare andare le immagini. Nel riaprire gli occhi e nella condivisione col gruppo molti di noi si sono accorti che la connessione fatta tra evento attuale “scomodo” ed evento del passato non era casuale, ma aveva un senso. Trovare un senso in una connessione anche così veloce e apparentemente poco significativa ha colpito molti di noi partecipanti e ci ha permesso di rompere il ghiaccio e avvicinarci meglio al modo di lavorare con la ST.

Nel corso dei due giorni la Dott.ssa Calzoni ci ha mostrato passo per passo come concettualizzare il caso e come usare le tecniche di intervento, attraverso esercizi di role playing con la nostra partecipazione attiva. È stata da subito evidente la professionalità e la grande esperienza clinica della Calzoni (nonché le sue innegabili doti nell’interpretare tutti i possibili mode di un eventuale paziente!), che ci ha fornito una lettura dei mode disfunzionali dei casi clinici portati e ci ha mostrato come condurre diverse tecniche, come l’imagery diagnostica, l’imagery with rescripting e la tecnica delle sedie. Quest’ultima si basa sull’utilizzo di due o più sedie che stanno a rappresentare i mode attivi nel paziente. Lo scopo principale è quello di eliminare il “genitore punitivo” attraverso l’attivazione dell'”adulto sano” e l’identificazione del bisogno del “bambino vulnerabile”. L’obiettivo si raggiunge facendo spostare il paziente da una sedia a un’altra, in base ai contenuti emotivi che egli stesso porta (ad esempio: “Non valgo niente”: genitore punitivo; “Ho paura”: bambino vulnerabile, etc.), con la conduzione del terapeuta. Il terapeuta in questo caso lo accompagna, vive insieme a lui/lei la stessa esperienza, per aiutarlo a scoprire il potenziale distruttivo del “genitore punitivo”, e distruggerlo a propria volta. La forza delle tecniche usate nella ST sta nel dare l’opportunità di portare alla luce e mantenere attivi contemporaneamente il livello di funzionamento interpersonale e quello intrapsichico del paziente, permettendo al terapeuta di lavorare in una costante “confrontazione empatica”, e di fare così leva sui suoi bisogni insoddisfatti. L’immagine che voglio portare con me (citando una delle frasi con le quali si chiude l’imagery with rescripting) è quella di un’aula coinvolta, curiosa e colpita dall’intensità di un lavoro basato sull’esperienza e sull’immaginazione, nonché dalla forte passione della Docente nel trasmetterla.

Per approfondimenti sulla ST:

Reinventa la tua vita – Jeffrey Young, Janet Klosko. Ed. Cortina

Schema Therapy: La terapia congnitivo-comportamentale integrata – Jeffrey Young, Janet Klosko. Ed. Cortina

Schema Therapy for Borderline Personality Disorder – Arround Arntz, Hannie van Genderen. Ed. Wiley – Blackwell.

Per informazioni sui prossimi workshop:

http://www.apc.it/calendario/evento/roma-4-edizione-corso-intensivo-sulla-schema-therapy-corso-ecm?instance_id=1707

*Raffaella Calzoni è una Psicoterapeuta cognitivo comportamentale. E’ supervisore e docente/trainer in Schema Therapy riconosciuta dalla Societá Internazionale di Schema Therapy (ISST). E’ docente e supervisore in diversi istituti di CBT e ST in Germania e all´estero Fondatrice e Direttore di Dialogo Schema Therapy (info@psychotherapie-calzoni.de; www.dialogo-schematherapy.it).

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