Aspetti neurofisiologici e psicobiologici in psicopatologia sperimentale

di Olga Ines Luppino

Ci fa piacere annunciare l’uscita del numero 1 – 2015 di Cognitivismo Clinico, rivista scientifica peer reviewed attiva dal 2004.

Il volume in questione raccoglie lavori di approfondimento sugli aspetti neurofisiologici e psicobiologici in psicopatologia sperimentale e, come tutti i precedenti, è scaricabile in formato PDF, dal sito www.apc.it

Di seguito l’editoriale a cura di Simone Gazzellini e Francesco Mancini. FullSizeRender

Sperando che il numero sia di vostro gradimento vi auguriamo una buona lettura, invitandovi anche a sottomettere articoli alla rivista.

Vi ricordiamo che i lavori possono essere inviati sia in Italiano che in Inglese e sottomessi direttamente on line dal sito www.fioriti.it oppure inviandoli in formato Word con posta elettronica a carcione@terzocentro.it

Editoriale

Una delle conseguenze del fondare la psicoterapia sulle prove evidence based è stato permettere l’unione della ricerca in neuroscienze e in psicopatologia. Ad oggi è difficile ignorare le conoscenze che i molti laboratori di ricerca di neuroscienze apportano ai modelli psicopatologici e di trattamento. Tuttavia bisogna definire i margini di applicazione delle neuroscienze alla psicopatologia e soprattutto alla psicoterapia.

Ad esempio, la conoscenza del cervello, finalizzata alla spiegazione della mente, dovrebbe essere guidata dalle conoscenze psicologiche. Se non si tiene conto di quanto la ricerca psicologica ci ha fatto capire delle relazioni fra emozioni e processi cognitivi, che senso potremmo dare alle scoperte sulla interazione fra amigdala, corteccia prefrontale e ippocampo? Certamente la conoscenza del cervello è utile per mettere alla prova ipotesi psicologiche. Ad esempio, si tende a dare per scontato che il senso di colpa sia una emozione unitaria, in realtà la ricerca sul cervello suggerisce la opportunità di distinguere almeno due sensi di colpa, e ci mostra anche che uno dei due è strettamente connesso al disgusto (vedi il lavoro di Basile nel presente numero). Ma senza una adeguata analisi psicologica del senso di colpa, che significato potremmo dare ai risultati delle neuroscienze?

Ciò considerato, è doveroso definire perché le neuroscienze possono apportare un valore aggiunto alla psicopatologia e alla psicoterapia. A nostro avviso l’obiettivo più allettante non è individuare le cause neurologiche dei disturbi psichiatrici, ma quello di arricchire i modelli psicopatologici attuali, arrivando a modelli complessi basati su disegni sperimentali e integranti livelli di osservazione: ad es. quello psicologico (pensieri, scopi, credenze, emozioni, stati mentali, tentativi di soluzione) con quello psicofisiologico (es. attivazione neurovegetativa), con quello neuroanatomico e psicofarmacologico. In questa direzione vanno i contributi che vi presentiamo in questo numero.

In particolare, risulta rilevante ottenere modelli integranti il livello psicologico-mentale con quello neuropsicofisiologico, in primo luogo perché basati su disegni di ricerca di tipo sperimentale. Informazioni ricavate mediante tali tipi di disegni di ricerca permettono di stabilire rapporti tra variabili indipendenti e dipendenti. Permettono quindi di indicare quali sono le relazioni causali tra variabili e non semplici rapporti correlazionali che possono tutt’al più generare modelli probabilistici. Nell’ambito del disegno sperimentale i parametri neuropsicofisiologici (es. battito cardiaco, EEG, fMRI) sono sovente utilizzati come variabili dipendenti per misurare gli effetti delle manipolazioni di fattori psicologici (pensieri, scopi, credenze, ecc). Chiunque frequenti un laboratorio di neuroimaging sa che per testare un’ipotesi di differenza neuroanatomica di un particolare effetto comportamentale è necessario prima fornire prove comportamentali della differenza cercata. I parametri neuropsicofisiologici ben si prestano come indicatori di differenze manipolate a livello psicologico, fornendo informazioni quindi sugli effetti delle manipolazioni psicologiche hypothesis driven e sulla struttura causale. Non corriamo quindi il rischio di ridurre le patologie della mente a patologie del cervello, ma abbiamo l’occasione di utilizzare metodi di misurazione sempre più precisi per ampliare le conoscenze sul funzionamento della mente, anche quando produce sofferenza.

Risulterà quindi vantaggioso continuare a investire nella costruzione di modelli psicopatologici evidence based progressivamente sempre più precisi e potenti nella spiegazione, così come già perseguito dalla cognitive neuroscience e dalla experimental psychopatology, nella consapevolezza che costrutti, interazioni, effetti non sufficientemente solidi, non importa più l’area psicoterapeutica di provenienza, non reggeranno al tempo e alla ripetizione nei diversi laboratori.

Inoltre, fornire al paziente una psicoeducazione che comprenda anche gli aspetti neuropsicofisiologici va verso una consapevolezza del disturbo in ogni suo aspetto. Aumenta quindi la probabilità di attivare forme di metacognizione e autoregolazione utili per il processo terapeutico e in grado di lavorare a favore di una più salda alleanza terapeutica, favorendo quindi la percezione del paziente di essere compreso; oltre a soddisfare la richiesta etica di aggiornamento continuo e di informazione al paziente.

I cinque contributi di questo numero speciale sono stati selezionati per fornire al lettore esempi di come le conoscenze provenienti da cinque specifici ambiti di ricerca (variabilità psicofisica, variazione battito cardiaco, neuromodulazione, neuroimaging, psicobiologia) vengano proficuamente traslati in clinica per migliorare l’efficacia psicoterapeutica e i modelli psicopatologici disponibili.

Simone Gazzellini e Francesco Mancini

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