Desistere da obiettivi irraggiungibili è una scelta strategica e non un fallimento

di Stefania Attanasio

Colui che si dimostra capace di perseguire con determinazione e spirito combattivo i propri obiettivi, è considerato un virtuoso. La “persistenza” favorisce lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità personali ed è considerata, in particolare nella cultura occidentale, come necessaria all’individuo per raggiungere l’autorealizzazione. È il motto statunitense «Yes, you can!»

Con lo sviluppo delle scienze psicologiche sono state proposte evidenze empiriche di tale assunto, correlandolo al benessere soggettivo e attestando la relazione negativa tra persistenza e alcune condizioni disfunzionali quali stress e depressione.

A questa linea di pensiero si contrappone quella che, senza demonizzare la tenacia, enfatizza i benefici del disinvestire in caso gli obiettivi siano estremamente ardui o impossibili da raggiungere. Uno degli articoli che supporta scientificamente il valore del “disimpegno” viene pubblicato da Miller & Wrosch nel 2007 con il titolo: “You’ve Gotta Know When to Fold ’Em”.

Gli autori presentano una ricerca longitudinale della durata di un anno volta a valutare, attraverso il monitoraggio di un biomarker, se la capacità di disinvestire da obiettivi irraggiungibili abbia ricadute sulla salute psico-fisica.

I risultati conseguiti attestano un incremento della proteina C-reattiva (CRP), indicativa di una condizione di infiammazione sistemica, nei casi in cui i soggetti esperiscono la difficoltà a perseguire efficacemente i propri obiettivi, dimostrandosi incapaci a disimpegnarsi da essi con un eventuale riformulazione delle mete.

Il campione è costituito da 90 giovani donne, con età media di 17,23 anni, scevre da patologie acute e croniche, definite ad alto rischio di depressione. La condizione di rischio viene attribuita sulla base di un’anamnesi familiare e da rilevazioni psicometriche.

La tendenza a perseverare versus disinvestire negli obiettivi è rilevata con un questionario precedentemente convalidato, mentre con analisi ematologiche si misura la CRP registrandone l’andamento nel tempo

L’esito conseguito è il suo significativo incremento, due volte più rapido rispetto alla media del campione, solo in quei soggetti con bassa tendenza al disinvestimento.

Pertanto, gli autori giungono alla dimostrazione che il disimpegno è un predittore di traiettorie di CRP.

Alcune riflessioni metodologiche. La persistenza di una condizione di infiammazione sistemica può esitare in malattie, quale diabete, osteoporosi e arteriosclerosi, il cui innesco è riconducibile nell’età adolescenziale. Da qui la scelta del campione.

L’adolescenza si caratterizza per i processi di definizione dell’identità, per l’investimento emotivo in obiettivi ambiziosi ma spesso irrealistici, per la determinazione con cui si perseguono le proprie mete. Di contro, uno dei limiti di questa scelta è ravvisabile nell’assenza di occasioni di riformulazione di obiettivi particolarmente importanti, quali la carriera o il matrimonio, che si collocano piuttosto in età adulta.

Anche l’uso di un questionario self-report per rilevare la regolazione degli obiettivi, invece di metodi osservazionali del comportamento, è considerato dagli stessi autori un punto debole della ricerca.

Rilevanti i punti di forza. Si è giunti a dimostrare empiricamente che quando la persistenza si scontra con seri ostacoli nella realizzazione degli obiettivi ambiti, può diventare disadattiva, innescando conseguenze biologiche in forma di infiammazione sistemica. E questa è riconosciuta come correlata alla formazione di sintomi depressivi.

In conclusione, il presente contributo di ricerca ha svelato l’ambivalenza della “persistenza” e il valore protettivo del disimpegno per l’insorgenza della depressione.

Riferimento bibliografico

Miller G.E. & Wrosch C. (2007), You’ve Gotta Know When to Fold ’Em. Goal Disengagement and Systemic Inflammation in Adolescence. Association for Psychological Science, 18, 9, 773-777

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