di Annalisa Bello
Quando la disinformazione genera minacciosi luoghi comuni che procrastinano la richiesta d’aiuto a uno specialista, cronicizzando la sofferenza
L’antica credenza che considerava i pensieri ossessivi e i comportamenti compulsivi la manifestazione di una possessione sovrannaturale è oggi purtroppo rinvenibile nei luoghi comuni che satellitano intorno a uno dei disturbi che affligge molte persone: il disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Sorprende scoprire storie di vita solcate dalla sofferenza di una convivenza impossibile con la sintomatologia ossessiva, eppure sembrerebbe essere il prezzo da pagare per evitare di trovarsi a fronteggiare una diagnosi che, come un’aspra sentenza, condannerebbe la propria vita allo stigma della pazzia e a tutto ciò che questa impronunciabile parola fa echeggiare nella mente di ognuno. Il rapporto tra DOC e psicosi è complesso e alquanto confondente. Se nel Medioevo i pazienti con disturbo ossessivo compulsivo erano visti come posseduti da forze demoniache, nell’odierno senso comune può capitare di incorrere nel mito (da sfatare!) del DOC come vicino alla schizofrenia.
Con ossessioni ci si riferisce a tutte quei pensieri, immagini o impulsi che repentinamente fanno capolino nella mente e la occupano in modo duraturo e continuo, con i loro contenuti ansiogeni, fastidiosi e senza senso. Proprio il contenuto irrazionale e apparentemente bizzarro dell’idea ossessiva può erroneamente accostarla ai deliri delle psicosi. A nutrire ulteriormente questo pericoloso luogo comune, ci sono le compulsioni che quando sono overt (scoperte, osservabili) si manifestano come dei comportamenti ritualizzati e “strani” che occorrono in risposta alle ossessioni, ponendosi come un tentativo di soluzione atto a neutralizzare la minaccia veicolata dalle stesse.
Si immagini quanto sarebbe invalidante vivere gran parte della propria giornata con il pensiero ossessivo di potersi ammalare di Aids e trovarsi in un’allerta sostenuta per il timore di poter interfacciarsi a qualche stimolo pericoloso e non riuscire a fare abbastanza per poterlo evitare (es. qualche ago infetto per strada) e sentirsi, poi, una persona indegna per non essere stati abbastanza attenti. Si unisca, poi, la costrizione a dover fare necessariamente qualcosa per neutralizzare e allontanare quel pericolo al punto da ritrovarsi imprigionato in una sequenza di comportamenti ritualistici: controllare ripetutamente la scrivania per sincerarsi che non ci siano aghi o oggetti appuntiti potenzialmente infetti oppure evitare luoghi “minacciosi”, come ad esempio la spiaggia, per evitare di pungersi con qualche ago infetto sotterrato nella sabbia.
Chi soffre di DOC sa bene quanto la convivenza con questo disturbo sia logorante e stremante. A macchia d’olio può allargare i suoi invalidanti effetti a tutte le aree di vita, a partire da quella familiare fino a quella lavorativa e sociale.
Una corretta informazione può sterminare i falsi miti con il positivo effetto di facilitare l’accesso al trattamento e alleggerire la propria quotidianità dalla sofferenza di una problematica trattabile. Come indicato dalle linee guida internazionali, infatti, ci sono delle terapie di provata efficacia contro questo disturbo: la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) ha una comprovata efficacia nel ridurre il peso della sintomatologia, mantenendo il cambiamento nel tempo.
Per approfondimenti:
Mancini F. Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo. In: Bara B, (a cura di) Nuovo Manuale di Psicoterapia Cognitiva, 2. Torino: Bollati Boringhieri 2005, pp. 98-141.
Davide Dettore. Il disturbo ossessivo-compulsivo. Caratteristiche cliniche e tecniche di intervento. McGraw-Hill Education, 2002.