di Chiara Lignola, Lavinia Lombardi, Agnese Fatighenti e Dario Pappalardo
Corso intensivo sulla Schema Therapy 2016 Firenze: la nostra esperienza!
Ed ora che ci faccio con tutto quello che ho imparato con la CBT in quattro anni di specializzazione? L’ACT e la mindfulness si integrano bene, ma con questa Schema Therapy che faccio? Devo resettare tutto? Come posso integrarla?
Ecco l’effetto che ci ha fatto questo percorso di formazione arrivati alla seconda tappa, il Workshop II “Strategie nella Schema Therapy”.
Dopo un iniziale smarrimento è diventata sempre più chiara la sua utilità, il suo potenziale e la possibilità di integrarla alla CBT, a seconda dei casi clinici. Si sta proprio rivelando un altro strumento da inserire nella valigetta degli attrezzi del terapeuta; se la CBT è il “razionale” della terapia, la Schema Therapy ne rappresenta il cuore, ossia la possibilità di attivare emotivamente il paziente ed entrare in contatto con le sue emozioni. Che potenziale!
Eh si…appena applicate le prime tecniche imparate, l’impatto è stato forte.
Ma quando è possibile applicarla? Quando il paziente ha difficoltà ad accedere ai propri pensieri, i propri “B” come diciamo noi cognitivisti, o al contrario quando rimane sul piano “razionale” e poco in contatto con le proprie emozioni, oppure ancora quando è stato condiviso il funzionamento con il paziente, ma abbiamo la percezione di essere sempre “impantanati” nello stesso punto, nello stesso mood. Tecniche come l’imagery with rescripting attivano le emozioni del paziente; è come agganciarsi ad una corsia preferenziale che porta il paziente e il terapeuta a nuove scoperte, a link col passato che danno una nuova lettura del funzionamento del paziente. È possibile, quindi, accedere ad una ristrutturazione della credenza sollecitando in vivo l’emozione.
La bellezza del workshop sta soprattutto nella sua pratica, grazie a Raffaella Calzoni, che ha incentrato le intere giornate puntando sull’esperienza concreta: simulate a gogò! Simulare un paziente dall’esterno può sembrare artificioso, forse per alcuni è più o meno semplice, o comunque all’inizio può sembrare macchinoso, ma crea uno stato di maggiore empatia. L’aspetto sorprendente è che simulare il paziente in un esercizio di imagery o di intervista sui mode disfunzionali, ci mette ancora più in contatto con la sua visione del mondo e con i suoi vissuti ed è più semplice comprendere come agisce e le resistenze che ha.
In questo secondo workshop si sono affrontate tecniche molto utili per riconoscere i mode disfunzionali e applicare l’intervista, utilizzare la confrontazione empatica stimolando l’adulto sano, riconoscere e smantellare il “genitore critico”, intervenire sul bambino arrabbiato, vulnerabile e felice, applicare la “tecnica delle sedie”, l’imagery with rescripting e il role playing storico. Insomma, che dire, un workshop che arricchisce la nostra competenza! Che ci attenderà ancora negli ultimi workshop? Sicuramente ancora molta pratica, studio, supervisioni e curiosità, molta curiosità, rispetto a quanto altro ancora ci verrà insegnato da Raffaella Calzoni e da Barbara Basile.
La ricchezza della schema therapy non sta solo negli aspetti formativi, ma ci mette in gioco in prima persona, ci invita ad ascoltarci e a conoscerci meglio nel rapporto con il paziente, a capire quale bambino viene “attivato” in noi dal mode del paziente e quale mode disfunzionale potremmo noi attivare in sua risposta. Stare in ascolto rispetto al nostro vissuto ci permette di comprendere meglio il paziente e di aiutarlo a prendere consapevolezza e dare spazio ai suoi bisogni fondamentali, in un’altalena di “ascolto” e “dare limiti” ai bisogni violati, che nessun “altro significativo” fino a quel momento ha riconosciuto e validato. <<Stay tuned>>