La Schema Therapy, uno sguardo ai bisogni e alle emozioni dell’età infantile

di Barbara Basile

Le esperienze negative legate alle figure di riferimento del bambino sono spesso l’origine di problematiche psicologiche nell’adulto

La “Schema Therapy” (ST) è un approccio di terapia integrato che negli ultimi anni ha ricevuto molta attenzione e consenso non solo negli USA, dove è nata, ma anche nei Paesi Bassi, in Germania, in Austria, in Svizzera, in Israele, in Turchia e in Australia. Nasce principalmente con lo scopo di coprire i limiti della Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) nel trattamento dei disturbi di personalità. In particolare, il suo fondatore, Jeffrey Young, si concentrò sulle problematiche emotive e interpersonali presentate dai pazienti, spesso legate a esperienze negative avvenute in età precoci.

Il modello integra elementi della TCC, della terapia della Gestalt e della Teoria dell’Attaccamento e impiega strategie di tipo esperienziale, emotivo e immaginativo, oltre alle “classiche” cognitivo-comportamentali.

Uno dei primi obiettivi della ST include l’esplorazione delle esperienze infantili e adolescenziali, ritenute all’origine dei problemi attuali del paziente, con lo scopo di identificare i bisogni emotivi fondamentali che non sono stati soddisfatti dalle figure di riferimento (per lo più i genitori). Alcuni dei bisogni principali sono individuabili in un attaccamento sicuro, in un senso di sicurezza e di protezione, nell’amore, nella cura, nell’attenzione, nella lode, nell’esigenza di autonomia, nella libertà di esprimere le proprie necessità e le proprie emozioni, nella spontaneità e nel gioco, e, non da ultimo, nell’insegnamento di limiti e regole da rispettare.

La frustrazione di tali bisogni, nel corso della crescita, può avere un ruolo fondamentale nello sviluppo di schemi disfunzionali (o “trappole” in cui si resta impigliati) che si mantengono nel tempo e vengono rinforzati anche a causa alle dinamiche interpersonali che l’individuo promuove. In terapia, lo scopo degli psicoterapeuti è aiutare i pazienti a diventare consapevoli dei propri schemi disfunzionali e dei loro processi di mantenimento, con l’intento di “correggerli”, interrompendo gli stili di fronteggiamento (o coping) disadattivi e favorire, invece, risposte comportamentali più funzionali.

Tramite le tecniche esperienziali di immaginazione o “delle sedie”, gli psicoterapeuti, inoltre, aiutano i pazienti a identificare e soddisfare i bisogni frustrati in passato. In particolare, la tecnica dell’imagery with rescripting (immaginazione con ri-scrittura) permette al paziente, attraverso il recupero di episodi passati, di esplicitare emozioni e bisogni non soddisfatti e, grazie all’ingresso nella scena del paziente in “versione adulta”, di immaginare il loro appagamento, in modo da permettere al paziente-bambino di vivere un’esperienza emotiva correttiva di protezione, validazione, accettazione, lode e amore. Diversi studi2 hanno verificato l’efficacia della tecnica dell’imagery with rescripting nel disturbo post-traumatico da stress, nella bulimia nervosa, nella fobia sociale, nella depressione, nei disturbi di personalità e, in particolare, nel disturbo borderline.

Il soddisfacimento dei bisogni e la modifica degli schemi disfunzionali permette al paziente di imparare a rispondere in modo più adattivo e funzionale alle situazioni presenti. Interrompere con consapevolezza certe modalità o certi schemi relazionali disfunzionali, impostati sulla base di un rapporto di attaccamento negativo con un genitore, ad esempio, può favorire nel paziente la possibilità di ricercare e coltivare nel presente dei rapporti sentimentali più sani, soddisfacenti e duraturi, arrestando una dinamica amorosa ricorsiva dannosa, che spesso viene perpetuata in modo automatico e inconsapevole.

Per approfondimenti:
Young, J. E., Klosko, J. S., & Weishaar, M. E. (2003). Schema therapy: A practitioner’s guide. New York: Guilford.

Arntz, A. (2012). Imagery Rescripting as a therapeutic technique: review of clinical trials, basic studies, and research agenda. Journal of Experimental Psychopathology, 3,189-208.

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