di Simone Migliore
Alcuni deficit evidenziati dall’esame neuropsicologico possono spiegare una parte della varietà dei problemi interpersonali e comportamentali
La richiesta di diagnosi e riabilitazione neuropsicologica è, da diversi anni, in crescente aumento non solo negli ambiti storicamente di interesse neuropsicologico (stroke, demenze, gravi cerebrolesioni), ma anche in ambito psichiatrico e dei disturbi del neurosviluppo.
La relazione tra neuropsicologia e disturbi di personalità è altamente articolata: negli ultimi anni si è assistito a un fiorire di produzioni scientifiche caratterizzate dallo scopo di chiarire i possibili correlati neuropsicologici e anatomo-funzionali dei disturbi di personalità, così da costruire un percorso terapeutico integrato che tenga conto dell’intero spettro di difficoltà a cui il soggetto deve far fronte.
La personalità oggi tende a essere considerata come un “aspetto” che permette l’adattamento dell’organismo al proprio ambiente: in questa ottica, i diversi stili di personalità rappresentano modalità differenti di gestione degli stressor ambientali, una manifestazione della biodiversità. Così, ad esempio, caratteristiche ossessive di personalità, con tratti di perfezionismo e coscienziosità, non sono di per sé patologiche, anzi possono rappresentare una risorsa adattiva. I problemi insorgono quando, però, questi tratti diventano eccessivamente intensi e rigidi, riducendo la flessibilità strategica dell’individuo e producendo, per contro, un disadattamento: la personalità dell’individuo si determina, infatti, a partire da componenti costituzionali e temperamentali, attraverso l’interazione complessa con il contesto di appartenenza.
La valutazione del funzionamento neuropsicologico dell’individuo è utile per individuare le componenti cognitive (costituzionali e/o acquisite) caratteristiche di un certo tipo di funzionamento psicologico e il loro rapporto con i tratti di personalità disfunzionali, come, per esempio, deficit delle funzioni esecutive nei disturbi schizotipico, borderline e antisociale.
Evidenze empiriche mostrano come in soggetti con disturbo antisociale di personalità emergono deficit neuropsicologici di tipo “esecutivo” ascrivibili principalmente al funzionamento delle aree prefrontali, sia a livello dorsolaterale (DLPFC) che a livello ventromediale (VMPFC). Difatti, queste tipologie di pazienti presentano deficit di pianificazione e di monitoraggio e inibizione di schemi comportamentali pre-programmati, tipicamente ascrivibili al funzionamento della DLPFC.
Si evidenziano, inoltre, deficit nel controllo inibitorio e, specificatamente, nella capacità di imparare a inibire un comportamento che non ottiene più risposte gratificanti, tipicamente ascrivibili al funzionamento della VMPFC. Deficit di questo tipo possono spiegare una parte della varietà dei problemi interpersonali e comportamentali tipici del soggetto con disturbo antisociale di personalità.
La comprensione del funzionamento neuropsicologico del paziente, quindi, può consentire di adattare l’intervento psicoterapico e farmacologico alle caratteristiche cognitive, affiancando eventualmente interventi di riabilitazione cognitiva.
Alcuni autori hanno, a tal proposito, sottolineato l’utilità prognostica dell’esame neuropsicologico, ipotizzando, ad esempio, un maggiore rischio di suicidio per i soggetti borderline caratterizzati da un deficit della regolazione inibitoria e di decision-making.
Allo stato attuale, la letteratura sulla neuropsicologia dei disturbi di personalità è ancora insufficiente. È peraltro auspicabile un affinamento delle metodiche di ricerca che consenta di raggiungere standard scientifici sempre più elevati e affidabili.
Per approfondimenti:
Seres I, Unoka Z, Bódi N, Aspán N, Kéri S. The neuropsychology of borderline personalitydisorder: relationship with clinicaldimensions andcomparison with otherpersonalitydisorders. J Pers Disord. 2009.
Dolan M, Park I. The neuropsychology of antisocialpersonalitydisorder. PsycholMed. 2002.