Sognare ad occhi aperti: quando preoccuparsene?

di Rocco Luca Cimmino

Perdersi in pensieri e immagini che ci distolgono da ciò che stiamo facendo in un determinato momento può rivelarsi dannoso e predisporci a stati d’ansia e vissuti depressivi

A quanti sarà capitato di perdersi in pensieri mentre si è impegnati in altro? Considerando che la mente umana è vagabonda, la risposta incontrerebbe largo consenso. Noi esseri umani, infatti, siamo portati a perderci in slanci fantasiosi che, attraverso immagini o pensieri, ci catapultano lontano rispetto al “qui e ora” che ci impegna e ci vede presenti, almeno apparentemente. Questo interessante fenomeno è noto come “mind wandering”, (“mente vagabonda”) e sta a indicare tutti quei momenti in cui sfogliamo le pagine del nostro settimanale preferito senza prestare attenzione, poiché rapiti dalla vivida immagine della vacanza che vorremmo fare la prossima estate. Molto comunemente, infatti, ci si perde in pensieri e immagini che non sono legati alle condizioni in cui ci si trova.
Ma a cosa serve vagabondare con la mente e distogliersi dalla realtà? Qualcuno avrebbe già indirettamente risposto al curioso interrogativo, asserendo che una mente vagabonda, come quella umana, è una mente infelice. Eppure, questa modalità “vacanziera” della nostra mente sembrerebbe avere anche un corrispettivo cerebrale: vi sono proprio delle aree cerebrali che si attivano quando la mente è a riposo e intenta a vagabondare. Per contro, le stesse aree sembrerebbero disattivarsi gradualmente in risposta a un carico cognitivo.
E se la mente inizia a perdersi e vagabondare sistematicamente tra immagini o pensieri dai contenuti negativi? La nostra mente può giungere a prediligere un set di pensieri ricorrenti negativi che, se orientati verso il futuro, si identificano nel worry (preoccupazione) o rimuginio; se, invece, incentrati sul passato assumono la forma di “rumination” o ruminazione. Entrambi sono considerate forme di pensiero ripetitivo negativo e possono essere disfunzionali e maladattive.
Nel rimuginio, assumono un ruolo centrale i pensieri negativi che nutrono una preoccupazione rivolta al futuro: “di domani non v’è certezza”, scriveva Lorenzo de’ Medici nella poesia “Il trionfo di Bacco e Arianna”, ma quando quest’attività di pensiero diviene ripetitiva e persistente, pone l’individuo in uno stato disadattivo, poiché lo rende incapace di scegliere come ovviare a ciò che lo preoccupa e lo fa giudicare ogni soluzione come insufficiente e non risolutiva. La valenza maladattiva del rimuginio assume la sua massima espressione nel disturbo d’ansia e si unisce a sintomi fisici invalidanti come maggiore tensione muscolare, insonnia, irrequietezza, irritabilità e, quindi, a un pattern di alterazioni dell’attività neurovegetativa che rappresentano, tra l’altro, fattori di rischio per la salute cardiovascolare.
L’altra faccia disadattiva della mente vagabonda è la ruminazione che, pur essendo cognitivamente simile al rimuginio, se ne differenzia per una serie di motivi. La ruminazione, infatti, implica solitamente pensieri ripetitivi riguardo a eventi del passato o stati emotivi presenti e si associa prevalentemente al tema centrale della perdita e del fallimento, associandosi allo sviluppo di vissuti depressivi. Proprio per questo, la ruminazione può assumere la forma di un importante fattore di rischio per la salute in quanto predispone allo sviluppo di episodi di ansia e depressione, perpetrandone la durata e alimentando gli stati d’umore negativi già esistenti. È proprio il caso di dire che, anche per ciò che concerne la nostra attività mentale, “in medio stat virtus”: pensare troppo può essere dannoso. Ma a tutto c’è rimedio: la terapia cognitivo comportamentale ha sviluppato una serie di valide strategie atte a aiutare il paziente ad uscire dalla trappola di questi pensieri negativi ripetitivi dannosi per la mente e il corpo.

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