di Stefania Fadda
La ricerca scientifica ne conferma l’efficacia nei disturbi depressivo, d’ansia, dell’alimentazione e nella prevenzione della ricaduta nelle dipendenze
“Mindfulness” è una parola inglese, il cui significato letterale è “pienezza della mente”, che fa riferimento a una meditazione consapevole in contesti di vita quotidiana, contro stress, ansia e depressione. La definizione classica di questa pratica è quella di Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio: “La mindfulness è la capacità di portare l’attenzione in modo intenzionale sull’esperienza vissuta momento per momento, in modo non giudicante”. Secondo l’Associazione Italiana per la Mindfulness, è “un modo per coltivare una più piena presenza all’esperienza del momento, al qui e ora”.
La sua diffusione sta assumendo dimensioni globali, anche grazie ai risultati ottenuti dalla ricerca scientifica, i più recenti dei quali sono stati presentati nell’ambito della Seconda Conferenza Internazionale sulla Mindfulness, tenutasi a maggio scorso a Roma.Tra i lavori proposti, “Mindfulness Meditation and Evidence of Brain Changes Implications for Psychopathology” individuava le aree e i circuiti cerebrali coinvolti nella pratica della mindfulness, i meccanismi mediante i quali agisce, le funzioni psicologiche e i disturbi nei quali tali funzioni risultano essere particolarmente rilevanti.
Le funzioni psicologiche interessate e le aree del cervello coinvolte risultano essere le seguenti: la regolazione dell’attenzione (corteccia cingolata anteriore); la consapevolezza del corpo (insula, giunzione temporo-parietale); la regolazione delle emozioni (dorsale, corteccia prefrontale, corteccia prefrontale ventromediale, ippocampo, amigdala); il cambiamento nella prospettiva di sé (corteccia mediale prefrontale, corteccia posteriore del cingolo, insula, giunzione temporo-parietale). La maggior parte degli interventi basati sulla mindfulness (MBI) richiede otto settimane di terapia di gruppo, nel corso della quale i partecipanti apprendono diverse pratiche di meditazione, formali e informali. Gli studi ne hanno dimostrato l’efficacia per il trattamento di diversi disturbi: in particolare, la terapia cognitiva basata sulla mindfulness (MBCT) si è rilevata efficace per il disturbo depressivo maggiore (MDD) e il programma di prevenzione delle ricadute basata sulla mindfulness (MBRP) è risultata produttiva nella prevenzione della ricaduta nelle dipendenze.
Infine, vi sono dati relativi all’efficacia degli MBI per il trattamento dei disturbi d’ansia e dei disturbi dell’alimentazione. In ultimo, secondo studi di neuroimaging, gli individui che hanno praticato regolarmente la mindfulness per diversi anni riportano una diversa morfometria della materia grigia in aree quali il tegmento pontino, il locus coeruleus, nucleo del rafe pontino, e il nucleo sensitivo del trigemino. Queste specifiche aree cerebrali includono i siti di sintesi e di rilascio di neurotrasmettitori, noradrenalina e serotonina, che svolgono un ruolo nella modulazione dell’eccitazione e dell’umore e sono legati a varie funzioni affettive e disfunzioni cliniche.
Per approfondimenti:
Barcaccia, B., Barucca, M., Ariano, F., Brindisino, F., Camino, R., Carraro, P., Dettori, M., Garano, C., Iacucci, M., Massaroni, I., Valentini, M., Venga, S., Vitali, G., Mancini, F., Saliani, A. M., Fadda, S. (2016). Mindfulness Meditation and Evidence of Brain Changes Implications for Psychopathology. 2nd International Conference on Mindfulness. 11-15 maggio, Roma.