Umano, tutto umano: saper condividere

di Livia Colle

Gli esseri umani hanno in comune con altri mammiferi molti aspetti della loro socialità ma c’è qualcosa che fa la differenza: la condivisione di un piano d’azione, un’informazione o uno stato d’animo

Ognuno di noi è consapevole dell’importanza che le relazioni sociali hanno nella nostra vita e forse anche, almeno in parte, della complessità e unicità delle nostre competenze sociali rispetto ad altre specie del regno animale. Sappiamo, per esempio, di avere a disposizione uno strumento potentissimo e unico per comunicare tra di noi: il linguaggio, che solo gli esseri umani possiedono e apprendono senza sforzo nell’infanzia, se inseriti in un contesto d’interazione sociale con altri esseri umani. Sappiamo anche di essere predisposti, già al momento della nascita, al ricercare degli scambi interpersonali e di essere sensibili alla qualità dell’interazione che l’altro ci propone: le sue espressioni facciali, la sua responsività e sintonia emotiva nell’interagire con noi. La capacità di reciprocità e di condivisione è alla base dell’interazione sociale tra gli esseri umani. Alcuni autori hanno suggerito, infatti, che proprio la cooperazione tra individui, la motivazione e il piacere nella condivisione siano le caratteristiche principali che differenziano le abilità sociali umane da quelle di altre specie.

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Ma di cosa parliamo quando facciamo riferimento alla condivisione? A seconda dei domini di studio, il termine “condivisione” assume accezioni molto diverse tra loro. Tra queste, “condividere” può voler dire “avere un piano d’azione comune che richiede un comune coordinamento motorio”, come per esempio trasportare insieme un tavolo, della grandezza x attraverso una porta con ampiezza w.  La neuropsicologia si è concentrata, negli ultimi anni, proprio su questo aspetto e sui meccanismi neurali che sembrano coinvolti nel  coordinamento motorio e nella condivisione di un piano d’azione. Allo stesso tempo, condividere un piano d’azione può significare “condividere uno scopo congiunto”, come le regole di un gioco o di una competizione. Ma condividere e cooperare non riguardano soltanto il pianificare e l’agire insieme, ma anche sapersi sintonizzare con le emozioni e gli stati d’animo altrui. La psicologia dello sviluppo si è occupata molto di questi aspetti della condivisione, mostrando come i bambini, già a due mesi di età, siano in grado di avere diverse reazioni emotive quando coinvolti in un’interazione con l’altro e siano in grado di coordinare le loro espressioni facciali a quelle dell’interlocutore. Gli studi in età evolutiva hanno anche mostrato come i bambini, già nel secondo anno di vita, siano in grado di ingaggiarsi in interazioni con il solo scopo di condividere interesse e fornire aiuto agli altri.

La recente letteratura di psicologia comparata ha messo in luce come i nostri cugini più prossimi nell’evoluzione, i primati o scimmie antropomorfe (come gli scimpanzè, gli orangotango, i gorilla, etc.), abbiano moltissime competenze sociali in comune con gli esseri umani. I primati vivono, cacciano e si difendono in gruppo, sono organizzati socialmente secondo una gerarchica assai complessa, comunicano tra di loro attraverso un ricco repertorio di gesti e azioni. Sembrano perfino sviluppare alcuni rapporti privilegiati: solo con selezionati membri del gruppo si intrattengono in attività puramente sociali, tra le quali il famoso social grooming, ovvero una piacevole e affettuosa attività di spulciamento reciproco. Ma con che scopo lo fanno? Procacciarsi cibo, difendersi, ottenere potere (sugli altri maschi), ottenere gratificazioni. Tutti scopi fondamentali per la sopravvivenza dell’individuo e funzionali all’interno di un contesto di vita di gruppo, ma nessuno basato su una motivazione puramente sociale, ovvero stare con gli altri per il solo piacere di condividere qualchecosa con loro: una risata, una notizia, un ballo, un segreto, un piano d’azione. I bambini invece lo fanno già a un anno, spontaneamente, senza apprendimento, per esempio indicando qualcosa che ha colpito la loro attenzione e che ritengono degna di nota, qualcosa che vogliono condividere.

 

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