Un Approccio Sensomotorio al Trattamento di Trauma e Dissociazione – P.Ogden, C.Pain e J.Fisher (2006)

Traduzione e sintesi: Giorgia Manca
Revisione: Linda Intreccialagli

La diagnosi di PTSD include tre classi di sintomi: vissuti intrusivi relativi al trauma, l’evitamento di circostanze associate al trauma e un livello di arousal elevato. L’alternanza tra l’evitamento e la sensazione di rivivere il trauma è dovuta allo stato dissociativo tipico di questa condizione: gli eventi traumatici, fuori dalla consapevolezza, si manifestano sottoforma di sintomi psicologici e somatizzazioni.
Gli approcci tradizionali come le “terapie della parola” hanno avuto la tendenza a focalizzarsi sulle componenti verbali esplicite e accessibili del trauma enfatizzando il ruolo della narrazione, dell’espressione emotiva e dell’attribuzione di significato, ma l’esposizione in vivo e/o immaginativa a stimoli forti viene sempre più considerata un ingrediente necessario nel trattamento del trauma, nonostante si corra il rischio di esacerbare piuttosto che risolvere i sintomi.
La premessa di molti approcci terapeutici top-down è che un cambiamento significativo nei processi di pensiero di un paziente, affiancato alla riesperienza terapeutica dell’evento, possa risolvere la sintomatologia post-traumatica. Tuttavia, negli individui traumatizzati l’intensità delle emozioni  e delle reazioni somatiche legate al trauma spesso disorganizzano le capacità cognitive, interferendo con l’elaborazione cognitiva e portando al fenomeno descritto come dirottamento bottom-up.
Per trattare i sintomi somatici del trauma in maniera efficace può essere utile un differente approccio terapeutico, di tipo bottom-up,  come la Psicoterapia Sensomotoria, che si rivolge direttamente agli effetti dell’esperienza traumatica sul corpo: le esperienze corporee diventano il punto d’ingresso primario per l’intervento, mentre i processi cognitivi del paziente vengono impegnati nell’evocare un’attenta osservazione dell’interazione tra sensazioni, emozioni, movimenti e pensieri.

Di fronte ad una minaccia, esistono due tipologie di risposte di difesa: l’attacco/fuga o il freezing. Nessuna risposta è “migliore” di un’altra: tutte sono potenzialmente adattive, ma possono continuare a manifestarsi sottoforma di sintomi cronici  anche molto tempo dopo che il pericolo è passato, implicando una disregolazione cronica dell’arousal che impedisce l’efficace elaborazione delle informazioni. Affinchè il passato venga effettivamente collocato nel passato, è necessario che le esperienze traumatiche siano elaborate in uno stato di “arousal ottimale” definito finestra di tolleranza, ovvero quel range di attivazione psicofisiologica percepita come maneggiabile. Nella PS l’uso di tecniche di mindfulness incoraggia l’individuo ad esperire la sensazione di essere “qui e ora”, mentre riconosce il “lì ed allora” dell’esperienza traumatica. Il trattamento si concentra  sulla riattivazione dell’iper o ipo-arousal dirigendo la consapevolezza del paziente ai residui non verbali del trauma. La narrazione diviene il veicolo attraverso il quale attivare le risposte fisiologiche in modo che esse possano essere studiate e infine trasformate.  Ciò facilita lo sviluppo di un senso del Sé integro e riorganizzato non solo dal punta di vista emotivo, ma anche somatico. Riteniamo che se la gestione top-down dei sintomi è adeguatamente bilanciata da un’elaborazione bottom-up, gli effetti complessivi del trauma abbiano più probabilità di rispondere al trattamento e vengano facilitate risposte nuove e più adattive che possono favorire l’integrazione di passato e presente, credenze e corpo, emozioni e significato.

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