La necessità del supporto al “caregiver” che dedica tempo e energie all’assistenza di un familiare malato a discapito della cura di sé e delle proprie esigenze
Ad oggi le famiglie restano la più comune risorsa di assistenza per gli anziani con limitazioni fisiche o psicologiche. Il termine “caregiving” si riferisce alle attività di cura fornite al malato che perde l’autonomia nello svolgimento delle funzioni quotidiane, nella capacità di movimento o di comunicazione. Assolvere questo ruolo può mettere a dura prova l’equilibrio psicofisico di chi assiste. La maggior parte degli studi che valutano il carico assistenziale e la qualità di vita sono stati condotti sui caregivers di pazienti con malattia di Alzheimer o altro tipo di demenza invalidante e dal forte impatto emotivo sia sulla famiglia sia sul paziente.
Chi sono i caregivers e perché la necessità di interventi per chi assiste?
Si tratta di coniugi o figli che dedicano mediamente sette ore al giorno all’assistenza diretta del paziente e quasi undici ore alla sua sorveglianza. Sono in prevalenza donne, in particolare figlie dei malati, che impiegano risorse fisiche e mentali a scapito del tempo per la cura di sé e per esigenze personali.
Negli ultimi anni molteplici studi hanno evidenziato l’impatto a lungo termine del caregiving sullo stato di salute psicofisica, evidenziando la presenza: di sintomi depressivi e di natura ansiosa connessi alla condizione di assistenza; di intense emozioni di rabbia, frustrazione, paura, senso di colpa e vergogna; di elevato rischio di malattie cardiache, ipertensione, diabete, allergie e altre patologie connesse allo stress; di ricorso a cure e a farmaci e di incremento del rischio di mortalità.
Tra gli interventi su questo tipo di popolazione, la terapia cognitivo comportamentale si è dimostrata la più efficace, specie per i caregivers con livelli significativi di depressione.
In particolare, una riduzione del disagio emotivo legato al carico assistenziale è stata riscontrata dopo attività di psicoeducazione, per l’acquisizione di abilità di gestione della malattia (informazione sulla sua natura, sul decorso e l’evoluzione; gestione dei disturbi cognitivi e comportamentali; sviluppo dell’intelligenza emotiva; gestione dello stress) e la diffusione di informazioni in merito alla rete dei servizi presenti sul territorio per l’assistenza sanitaria e legale, e dopo percorsi di psicoterapia, che combinano strategie cognitive e interventi comportamentali, favorendo il cambiamento di pensieri e comportamenti disadattivi e disfunzionali e la loro sostituzione con pensieri più utili.
Recentemente si stanno diffondendo gli interventi basati sul favorire il processo di accettazione della malattia e dei cambiamenti negativi implicati che sono in larga misura immutabili. A questo scopo viene ad esempio utilizzata l’Acceptance and Commitent Therapy (ACT), una forma di terapia cognitivo comportamentale che utilizza procedure tese da una parte ad aiutare il familiare ad accettare l’impossibilità di controllare tutte le situazioni critiche, a rendere il senso di impotenza più sopportabile e a ridurre la gravità soggettiva della perdita; dall’altra a ri-pianificare il quotidiano, in funzione di scopi e valori personali non invalidati in modo irrimediabile dalla malattia del familiare.
L’utilizzo di un tipo di un intervento rispetto a un altro dipende da fattori quali lo stadio della malattia, le capacità di affrontare i problemi (coping) del familiare, le risorse dell’ambiente e del contesto di riferimento.
I cambiamenti e gli sviluppi tecnologici hanno aperto nuove possibilità di somministrazione degli interventi ai caregivers: i portali informatici e, in particolare, la video comunicazione rappresentano un nuovo modello organizzativo di sostegno socio assistenziale attraverso i quali i familiari possono essere supportati da uno specialista.
Per approfondimenti:
Andrès Losada et al. “Cognitive.Behavioral Therapy (CBT) Versus Acceptance and Commitment Therapy (ACT) for Dementia Family Caregivers With Significant Depressive SYmptoms: Result of a Randomized Clinical Trial”. Journal of Consulting and Clinical Psychology (2015), Vol..83,No.4, 760-722
Ann M. Steffen, Judith R. Gant, and Dolores Gallagher-Thompson. “Reducing Psychosocial Distress In Family Caregivers”. Handbook of Behavioral and Cognitive Therapies with Older Adults (2015), 222-239
Bianchetti A. Trabucchi M. “Alzheimer, malato e familiari di fronte alla perdita del passato”. Il Mulino (2010)
Nastri L. et al. “Qualità di vita e carico assistenziale dei caregiver di pazienti affetti da demenza”; Psicogeriatria (2011); 3: 22-29