Disturbo Evitante di Personalità, non esporre all’imbarazzo chi ne soffre

di Fabio Moroni

Una ricerca individua le difficoltà delle persone evitanti nelle funzioni autoriflessive. Ne emerge che trattare il DEP come la Fobia Sociale potrebbe produrre risultati opposti a quelli sperati

 La rivista The Journal of Nervous and Mental Disease ha recentemente pubblicato i risultati di una ricerca sulle differenze nelle capacità autoriflessive tra persone con diagnosi di Disturbo Evitante di Personalità (DEP) e persone con altri Disturbi di Personalità (DP), condotta dal gruppo di ricerca del Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma. Lo studio prevedeva un’intervista semistrutturata su un gruppo di 287 pazienti che avevano diagnosi per un solo disturbo di personalità e ha dimostrato che i pazienti con disturbo evitante hanno maggiori difficoltà nella capacità di riconoscere e descrivere le emozioni e pensieri sottostanti al proprio comportamento (abilità denominata “monitoraggio metacognitivo”) e anche le emozioni e pensieri sottostanti al comportamento delle persone con cui interagiscono (abilità denominata “decentramento metacognitvo”).

La rilevanza dello studio risiede nel fatto che i risultati forniscono degli spunti di riflessione per spiegare alcune caratteristiche cliniche del disturbo. Una importante caratteristica del Disturbo Evitante di Personalità, che lo differenzia dai disturbi sintomatici come la Fobia Sociale, è che queste persone hanno un’autostima e rispetto di sé molto bassi e una quasi assenza di relazioni intime con grandi difficoltà a cooperare. Il senso di inadeguatezza lamentato tipicamente da chi ne soffre viene spesso descritto come un sentirsi estranei a ogni contesto, con la sensazione di non sapere mai che dire o fare in situazioni sociali e l’impressione che altri condividano regole di comportamento che essi non comprendono.

I risultati dalla ricerca possono spiegare tale fenomeno: una difficoltà a comprendere i propri contenuti mentali, unita all’incapacità a comprendere la mente degli altri, rende impossibile cogliere le dimensioni mentali condivise tra sé e gli altri. Questo causa un senso cronico di estraneità e di non condivisione, un sentimento di non appartenenza ai gruppi, l’inibizione sociale, le difficoltà nel costruire relazioni intime e la pervasiva tendenza al ritiro. Inoltre, la scarsa comprensione della mente altrui rappresenta un potente fattore di mantenimento e spinge le persone con Disturbo Evitante di Personalità ad assumere una posizione egocentrica, per cui proiettano nella mente dell’altro i giudizi su di sé e i timori che sono propri, mentre le difficoltà a comprendere le intenzioni e gli stati mentali degli altri impedisce loro di cogliere i segnali che porterebbero a scardinare tali timori.

Da un punto di vista clinico, questi dati sollevano una questione terapeutica rilevante, in quanto se il DEP fosse equiparato alla Fobia Sociale, il trattamento prevedrebbe l’esposizione all’imbarazzo in contesti sociali per disconfermare i timori di inadeguatezza del paziente. Ma se ciò venisse fatto prematuramente con una persona con DEP, la si esporrebbe a una situazione difficile da fronteggiare, i suoi timori finirebbero per avverarsi e il trattamento potrebbe produrre risultati opposti a quelli sperati.

Per approfondimenti:

Moroni F, Procacci M, Pellecchia G, Semerari A, Nicolò G, Carcione A, Pedone R, Colle L (2016) Mindreading Dysfunction in Avoidant Personality Disorder Compared With Other Personality Disorders. J Nerv Ment Dis May 25. [Epub ahead of print]

Pellecchia G, Moroni F, Carcione A, Colle L, Dimaggio G, Nicolò G, Pedone R, Semerari A (2015) Metacognition Assessment Interview: instrument description and factor structure. Clin Neuropshychiatry 6:157-165.

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