Le parole di emozione attivano le aree motorie del cervello

di Alessandra Mancini

La percezione delle parole usate per esprimere un’emozione, come gioia, paura o terrore, attiva le aree motorie della faccia e della mano

Che gesti e parole siano profondamente legati è un fatto intuitivo. Basti osservare i bambini piccoli che non hanno ancora imparato a parlare mentre allungano la mano producendo un inconfondibile e perentorio gesto “deittico”, a cui ben presto seguirà un più verbale ma sempre perentorio “dammi!”.
Il ripetersi nel tempo dell’abbinamento verbo-azione ha due conseguenze importanti: 1) il bimbo impara a parlare; 2) il cervello del bimbo “impara” che la probabilità che l’abbinamento tra quella parola e quell’azione si ripeta è elevata, pertanto crea dei “circuiti preferenziali” che collegano la parola “dare” con il suo significato motorio, ovvero il movimento della mano.

Questo è il modello proposto dalle recenti teorie neurolinguistiche che ipotizzano che la rappresentazione delle parole nel cervello non sia contenuta in un unico grande magazzino semantico come pensato in precedenza, ma che piuttosto sia distribuita in circuiti che connettono le aree del linguaggio (la corteccia perisilviana sinistra) con le aree sensoriali (come le cortecce visive o tattili) e con le aree motorie.

In altri termini, l’ipotesi centrale di questo approccio, chiamato “embodied cognition”, è che l’apprendimento delle parole sia legato a contesti d’azione e che avvenga tramite l’esperienza corporea.
Studi recenti hanno fornito un sostegno scientifico a queste ipotesi, mostrando che alla comprensione di parole concrete, come “gatto”, corrisponde un’attivazione delle aree visive (tattili o uditive) in cui sono state immagazzinate le informazioni relative al concetto di “gatto” (è nero, ha i baffi, è morbido, ecc.). Inoltre, è stato evidenziato che alla comprensione dei verbi d’azione, come “prendere” o “camminare”, corrisponde l’attivazione delle aree motorie della mano e delle gambe, proprio come se udendo la parola “correre” il nostro cervello simulasse una corsa.
Fino a qui i conti sembrerebbero tornare, ma cosa accade, ad esempio, nel caso delle parole astratte, che per definizione non posseggono direttamente qualità fisiche o motorie? In quali contesti d’azione sono state imparate? A quali azioni sono state ripetutamente associate?

Uno studio di alcuni ricercatori di Cambridge ha preso in esame il caso particolare delle parole di emozione, un sottogruppo di parole astratte. I partecipanti allo studio dovevano leggere tre gruppi di parole: un gruppo di parole di emozione come “gioia”, “paura”, “terrore”, “rabbia”, ecc.; un gruppo di parole di azione come “prendere”, “calciare”, “masticare”, ecc; e un gruppo di parole “concrete” riferibili ad animali. Questo compito veniva svolto all’interno dello scanner della risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Dalla prospettiva dell’embodied cognition emergeva che le parole di emozione erano state apprese in contesti di “azioni emotive”, cioè in quei contesti in cui tali emozioni venivano espresse tramite le espressioni facciali e i movimenti delle braccia e delle mani.

In effetti, i risultati della ricerca hanno rivelato che le parole di emozione, rispetto a quelle “concrete”, oltre ad attivare la parte emozionale del cervello (le aree limbiche), evocavano anche l’attività delle aree motorie della faccia e della mano, le stesse attivate anche dalle parole di azione.

Questi risultati aprono un dibattito interessante tra i gli studiosi di neuroscienze; rimane infatti da chiarire se le aree motorie siano fondamentali per comprendere le parole d’emozione. Un recente studio ha infatti rivelato che un deficit motorio in età evolutiva può portare a una difficoltà nell’apprendimento e nell’espressione delle parole d’emozione.

Per approfondimenti:

Moseley, R., Carota, F., Hauk, O., Mohr, B. and Pulvermuller, F., 2012. A role for the motor system in binding abstract emotional meaning. Cerebral Cortex, 22, 1634-1647.

Moseley, R., Kiefer, M. and Pulvermuller, F., 2016. Grounding and embodiment of concepts and meaning: a neurobiological perspective. In: Coello, Y. and Fischer, M., eds. Foundations of Embodied Cognition. Psychology Press.

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