Osservare i comportamenti quotidiani da una prospettiva insolita, quella della mente ossessiva, “ostaggio” di scopi e credenze
Echeggiando con forza nelle aule del diritto, la massima latina “Ad Impossibilia nemo tenetur” (“Nessuno è tenuto a fare cose impossibili”) trova un senso anche nel campo della psicopatologia.
Quella che sembra un’ovvietà si veste, invece, di insolito e singolare al cospetto di una mente ossessiva, intenta a dover fare di tutto e di più per essere certa di non avere chiuso male i rubinetti del gas. È il caso di Giovanni che si affaccenda fino allo stremo delle proprie risorse fisiche e mentali in ripetuti controlli dei fornelli atti a placare il timore di poter causare una fuga di gas e, quindi, una disgrazia in cui morirebbero gli anziani del piano di sopra e i bambini dell’appartamento accanto. Il tutto per non avere controllato abbastanza bene, per essere stato superficiale, sbadato. Eppure, Giovanni i rubinetti del gas li ha chiusi. Allora perché continua a farlo? Cosa può rendere ragione dell’andirivieni dalla cucina per aprirli e chiuderli almeno tre volte, per poi ritornarci e attivarsi per un ulteriore controllo? L’ennesimo, che scandisce il tempo di una giornata lavorativa, iniziata con ritardo tra una verifica e l’altra e la successiva ancora, e che, anche questa volta, potrebbe costargli la perdita del lavoro. Che senso ha, allora, controllare in modo così esasperato? Incomprensibile e bizzarra, la fenomenologia di una mente ossessiva fotografata da dentro assume, però, senso e significato. Se ne trova interessante traccia tra le pagine del libro “La mente ossessiva. Come curare il disturbo ossessivo compulsivo”, scritto da esperti dell’Associazione di psicologia cognitiva (APC) e della Scuola di Psicoterapia Cognitiva (SPC) di Roma, curato dal neuropsichiatra infantile e direttore della scuola Francesco Mancini e pubblicato di recente per Raffaello Cortina Editore.
Con magistrale competenza, Mancini impreziosisce le librerie professionali con un imperdibile contributo, frutto di pluridecennale esperienza nel campo della psicopatologia del disturbo ossessivo compulsivo (DOC), che ha segnato l’interesse clinico e sperimentale dell’autore e le cui risultanze sono evidenti nella letteratura internazionale.
Interpellata e chiamata a rendere ragione di quei ripetuti e stremanti controlli, la mente ossessiva fatica nel destreggiarsi tra un esagerato senso di responsabilità, il timore di colpa e l’attività ossessiva.
Nel DOC, infatti, non è necessaria la presenza di una vittima (senso di colpa altruistico) per temere la colpa: per intimorire e preoccupare una mente ossessiva, basta trasgredire una norma morale, senza che vi sia vittima alcuna. Si tratta di una colpa “deontologica” che porta a tediarsi con un pensiero martellante: “Come ho potuto fare ciò?”. Sarebbe terribile, una catastrofe, insopportabile, e quindi si evita a tutti i costi di “macchiarsi” di quella responsabilità.
Il ruolo della colpa deontologica nel funzionamento di una mente ossessiva è confermato anche da studi funzionali di Basile, Mancini e Macaluso, che hanno riportato rilevanti differenze nei pazienti con DOC rispetto ai soggetti di controllo in termini di minore attivazione della corteccia cingolata anteriore, insula e precuneo. Non sono state, invece, rilevate differenze tra i due gruppi in risposta al processamento di stimoli legati al senso di colpa altruistico e ad altre emozioni come la rabbia o la tristezza. La frequente esposizione al senso di colpa deontologico, in pazienti ossessivi, ha reso, infatti, la risposta cerebrale più efficiente, riflettendosi in una riduzione dell’attivazione cerebrale in linea con il noto fenomeno del Neural Efficiency Hypothesis, secondo il quale individui più addestrati palesano un’attivazione corticale minore rispetto a quelli meno addestrati.
Nulla deve essere impossibile alla mente ossessiva se in ballo c’è la colpa deontologica, che non si limita a essere qualcosa di spiacevole bensì un evento terribile perché richiamerebbe il “meritato” disprezzo e disgusto da parte degli altri, accuse e critiche a cui il paziente ossessivo risulta essere particolarmente sensibile. Ma non è tutto: nella definizione esaustiva ed esauriente dei determinanti prossimi della sintomatologia ossessiva, non si può non contemplare il ruolo esercitato dalla Not Just Right Experience, la sensazione che qualcosa non va come dovrebbe essere.
Ecco dunque un breve assaggio del libro “La mente ossessiva”, sezionata e sviscerata negli scopi e nelle credenze che intrappolano la quotidianità e rendono la persona ostaggio del monito catastrofico della colpa e il disprezzo meritato da parte del mondo.
Un prezioso contributo, quello racchiuso nel manuale curato da Francesco Mancini, che si pone come importante guida per chi è clinicamente animato dall’interesse verso la comprensione di specifici processi e contenuti mentali sottendenti la genesi nonché il mantenimento del disturbo ossessivo compulsivo.
Per approfondimenti:
Francesco Mancini a cura di, La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo, Raffaello Cortina Editore 2016