Traumi infantili: come si comporta la memoria

di Barbara Basile

Cosa succede nel cervello di chi ha vissuto un evento traumatico da bambino? Cosa si ricorda e cosa si dimentica?

Le esperienze traumatiche infantili hanno un forte impatto sullo sviluppo di disturbi psichici nell’infanzia, così come nella vita adulta. Uno studio epidemiologico del 2010 ha mostrato che il 44% della psicopatologia che esordisce nell’infanzia e il 30% di quella che insorge in età adulta è riferibile alla presenza di traumi infantili. Dati simili sono stati ottenuti in altri studi che hanno identificato un effetto di eventi traumatici vissuti nei primi 18 anni di vita sullo sviluppo di malattie psichiatriche e mediche e, in generale, sulle aspettative di vita. Manifestazioni cliniche, come i flashback, i fenomeni dissociativi, gli incubi, le immagini o i pensieri intrusivi e i comportamenti disinibiti e aggressivi si possono osservare in patologie come il Disturbo Post-traumatico da Stress (DPTS), il Disturbo Borderline di Personalità (DBP), i Disturbi dell’Umore o il Disturbo Anti-sociale (DAS).

Traumi vissuti nei primi anni di vita possono inibire i meccanismi neurobiologici coinvolti nella registrazione dell’evento nella memoria (nell’ippocampo) e, al contempo, attivare strutture cerebrali coinvolte nell’elaborazione emotiva (come l’amigdala), facendo sì che certi ricordi vengano registrati solo a livello implicito e inconscio. Questi processi possono essere reversibili se i traumi vengono sospesi e in qualche modo “alleviati o riparati”; mentre, se non avviene alcun processo di riparazione affettivo-relazionale, si può andare incontro a un processo di morte neuronale che porta alla riduzione del volume dell’ippocampo.
È interessante considerare la distinzione tra eventi traumatici privati, come per esempio gli abusi fisici o sessuali, consumati per lo più nell’ambito familiare, e quelli pubblici, quali calamità naturali, catastrofi o incidenti. I primi, solitamente tenuti nascosti, non hanno la possibilità di venire elaborati, verbalizzati e condivisi con altre figure significative, compromettendone la registrazione nella memoria episodica. Al contrario, i traumi pubblici, per quanto intensi e dolorosi, possono venire ricostruiti, integrati ed elaborati attraverso la condivisione e la verbalizzazione con le figure di riferimento, facilitando un adeguato consolidamento nella memoria episodica e permettendo una riparazione psico-emotiva anche a livello neuronale. In situazioni altamente traumatiche, vi può essere un blocco delle funzioni della memoria esplicita, meccanismo per cui automaticamente la vittima cerca di evitare o ridurre la sofferenza, per esempio, concentrando la propria attenzione su aspetti dell’evento meno salienti, come dettagli visivi o altri pensieri. Questo fa sì che, mentre da una parte l’inibizione dell’ippocampo blocca la registrazione del contenuto dell’evento in memoria, d’altro canto, alcuni elementi emotivi (come la paura) o sensoriali (le sensazioni tattili, visive o olfattive) o comportamentali (l’impulso alla fuga o la dissociazione) vengano immagazzinati a livello della memoria emotiva-implicita e possano emergere improvvisamente tramite degli specifici stimoli.

Spesso, infatti, l’attivazione di un ricordo traumatico fa sì che il cervello riviva online l’esperienza passata, percependola come reale sul piano sensoriale, neurofisiologico ed emotivo, ma non necessariamente riconoscendola sul piano esplicito-verbale. Si assiste, cioè, ad una dissociazione tra la modalità con cui le informazioni dell’evento sono state immagazzinate a livello sensoriale ed emotivo, e le sue componenti verbali coscienti, che (ammesso questo accada) possono venire identificate e integrate in una narrativa coerente solo dopo tempo e, eventualmente, con un sostegno esterno, come la Terapia Cognitivo-Comportamentale, l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), la Schema Therapy o la Terapia Sensomotoria: modelli psicoterapici che basano i propri interventi sull’immaginazione, favorendo l’elaborazione del ricordo traumatico sui diversi livelli, incluso quello linguistico.

Per approfondimenti:

Green, J. G., McLaughlin, K. A., Berglund, P. A., Gruber, M. J., Sampson, N. A., Zaslavsky, A. M., & Kessler, R. C. (2010). Childhood adversities and adult psychiatric disorders in the national comorbidity survey replication I: associations with first onset of DSM-IV disorders. Archives of general psychiatry, 67(2), 113-123.

Felitti V. J., Anda R. F. (2010), Il rapporto tra esperienze sfavorevoli infantili e malattie somatiche, disturbi psichiatrici e comportamento sessuale nell’adulto: implicazioni per la politica sanitaria, tr. it. in Lanius R. A., Vermetten E., Pain C. (2012), a cura di, L’impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia. L’epidemia nascosta, Fioriti, Roma

Foschino Barbaro, M. G., Pellegrini, M. (2015). Trauma infantile e salute: dalla rilevazione precoce alla cura. In (ed.) G. De Isabella & G. Majani Psicologia in medicina: perché conviene, Franco Angeli Editore

Bremner JD (2003). Long-term effects of childhood abuse on brain and neurobiology. Child Adolesc Psychiatric Clin N Am;12:271–292.

Siegel D (2012). The Developing Mind, Second Edition. Guilford Press.

Howe ML & Courage ML (1997). The emergence and early development of autobio-graphical memory. Psychol Rev;104, 499–523.

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