di Mauro Giacomantonio
Le persone tendono a utilizzare menzogne per avere un vantaggio personale ma cercano di non esagerare per non sporcarsi troppo la coscienza
Spesso si tende a pensare che gli aspetti etici e morali del comportamento funzionino in una modalità “tutto o nulla”. O si è buoni o si è cattivi, onesti o disonesti, bugiardi o sinceri. Proprio in merito al tema delle bugie, la ricerca psicologica ha mostrato che la realtà è più complessa e sfaccettata. Gli individui, infatti, tendono a comportarsi come “bugiardi parsimoniosi”, cioè a cercare una menzogna che sia il più possibile equilibrata e bilanciata. Per capire meglio cosa si intende, si consideri che quando si mente, vengono chiamate in gioco almeno due motivazioni. La prima è il desiderio di ottenere un vantaggio: più soldi, più tempo, più like su Facebook, meno rimproveri, meno lavoro da svolgere e così via. L’altra motivazione è voler mantenere sempre un’idea positiva di noi stessi, come di persone giuste e moralmente irreprensibili. Questa motivazione, però, rema contro l’uso delle bugie.
Per approfondire tali aspetti del mentire, lo psicologo dell’Università di Amsterdam Shaul Shalvi ha chiesto a un gruppo di persone di tirare un dado e di riferire il numero ottenuto senza che nessun altro avesse potuto osservare il risultato. I partecipanti avrebbero guadagnato un euro per ogni punto ottenuto col dado (ad esempio: con un punto avrebbero ottenuto un euro, con sei punti sei euro). Ovviamente, le persone avrebbero potuto mentire dicendo di aver ottenuto un sei per guadagnare la cifra più alta possibile. E, infatti, come previsto, è emerso che generalmente le persone mentivano e solo pochi partecipanti hanno riportato punteggi bassi come uno o due. Tuttavia, contrariamente a quel che si possa pensare, poche persone hanno riportato punteggi alti come cinque o sei. In pratica, si mentiva per non rimanere senza ricompensa (motivazione al vantaggio), ma si evitava di mentire troppo per non doversi sentire troppo immorali (motivazione all’immagine positiva).
In un esperimento simile a quello precedente, i partecipanti dovevano lanciare il dado tre volte, tuttavia avrebbero guadagnato i soldi corrispondenti solo al primo lancio. Anche in questo caso i partecipanti mentivano, ma non al massimo delle loro potenzialità: molte persone dichiaravano il punteggio più alto ottenuto nei tre tiri (anche se l’istruzione era di riportare solo il risultato del primo lancio). In altre parole, nella maggioranza dei casi, le persone non erano sincere, ma basavano la loro menzogna su un fatto almeno parzialmente vero: “Ho ottenuto veramente quel punteggio ma non al primo colpo”. Questi risultati spiegano perché spesso, nella vita quotidiana, le menzogne delle persone sono modeste, più simili a strategiche omissioni che a bugie vere e proprie. Si è disposti a vedersi come immorali pur di guadagnare qualcosa, ma solo fino a un certo punto.