Per non andare incontro a problematiche psicologiche di tipo “internalizzante” o “esternalizzante”, è fondamentale capire quale valore il bambino attribuisce al proprio stato d’animo
Ricevere una diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), soprattutto nei primi anni di scuola, solitamente rappresenta un evento inaspettato e critico per i bambini e può esporli a difficoltà cognitive, emotive e motivazionali.
È il caso di Elena, dodici anni, che ha ricevuto diagnosi di DSA in quinta elementare. Sebbene gli interventi riabilitativi abbiano parzialmente ridotto i deficit sul piano accademico, Elena mostra difficoltà a frequentare la scuola, tende a evitare le verifiche e inizia a evidenziare un atteggiamento sempre più ritirato e schivo nei confronti dei compagni. Eppure Elena sa di aver studiato molto. Allora come mai tende a comportarsi così? Cosa può rendere ragione della sua condotta?
La letteratura scientifica riporta molte ricerche che mostrano le possibili correlazioni e comorbilità tra Disturbi Specifici dell’Apprendimento e disturbi emotivi, ma non vi sono ancora studi in grado di definire le relazioni di tipo causale tra disturbo e problematiche emotive specifiche.
All’interno della psicopatologia dell’età evolutiva, le problematiche “internalizzanti” riguardano sintomi emozionali connessi ad ansia, paura, vergogna, bassa autostima, tristezza e depressione, mentre quelle “esternalizzanti” si riferiscono a comportamenti caratterizzati da aggressività, distruttività, difficoltà attentive, impulsività, iperattività e azioni di tipo delinquenziale. Ma quali sono le ragioni per cui un bambino con DSA può andare incontro allo sviluppo di una problematica di tipo internalizzante rispetto ad una esternalizzante? Una prima spiegazione si trova in quello che in terapia cognitiva viene comunemente definito “problema secondario”, vale a dire la valutazione che la persona effettua riguardo la propria reazione emotiva e comportamentale: cosa pensa e come valuta ciò che gli accade in termini emotivi e in termini di reazione comportamentale. Difatti, nel caso di Elena, descritto accuratamente dalle dott.sse Barbara Renzetti e Monica Mercuriu nel libro “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza. Nuovi sviluppi”, tutto sembra iniziare dalle sue valutazioni: nonostante sappia di essersi impegnata molto nello studio, sente anche che non riuscirà a esprimersi, che non le verranno le parole, che sarà confusa. Teme, inoltre, che l’emozione possa trasparire, che appaia goffa e impacciata e che, per questo, farà la figura della stupida davanti ai compagni. Si sente diversa dagli altri e meno capace.
Ciò che superficialmente appare incomprensibile, se guardato dall’interno, comincia quindi ad assumere senso e significato: per comprendere le ragioni che portano un bambino con DSA a sviluppare una problematica di tipo internalizzante o esternalizzante, è fondamentale capire, in primis, il giudizio e il significato che il bambino attribuisce al proprio stato d’animo, pensiero, sensazione o condotta, poiché l’insorgenza, l’intensità e il mantenimento della sofferenza psicopatologica è attribuibile proprio alla valutazione critica (di non normalità, inaccettabilità) di tale emozione (es: “Se mi mostro in imbarazzo penseranno che sono una stupida”). Tali emozioni e comportamenti, se non trattati adeguatamente, possono esporre il bambino a una tendenza all’isolamento, all’evitamento di situazioni sociali o, per contro, a manifestazioni aperte di rabbia e aggressività. La terapia cognitivo-comportamentale è un intervento utile per prevenire tali disagi psicologici e per trattare specifici problemi psicopatologici che possono verificarsi a seguito di una valutazione psicodiagnostica.
Per approfondimenti:
Renzetti B.; Mercuriu M., “ I disturbi specifici di apprendimento (DSA): studiare, che fatica!”, in Isola L.; Romano G.; Mancini F., Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza. Nuovi sviluppi. Franco Angeli Editore 2016