di Maria Pontillo e Stefano Vicari
A partire da una vulnerabilità genetica, fattori come la malnutrizione materna prenatale, un basso quoziente intellettivo, traumi o abuso di cannabis, possono determinare l’esordio del disturbo
La Schizofrenia è un complesso disturbo del funzionamento cerebrale che si caratterizza per un’ampia variabilità dei sintomi e del corso della malattia. Tra i disturbi psichiatrici, rappresenta la categoria diagnostica con il più alto grado di invalidità sul piano sintomatologico e prognostico.
L’esordio in età evolutiva si caratterizza per elevata frequenza di allucinazioni uditive, estrema gravità della sintomatologia negativa associata, significativa compromissione neuropsicologica e prognosi negativa nel lungo termine. In sostanza, rispetto alla Schizofrenia in età adulta, le condizioni ad esordio al di sotto dei diciotto anni di età rappresentano forme più severe e disabilitanti del disturbo.
Una maggiore comprensione può essere favorita considerando la Schizofrenia come un vero e proprio disturbo del neurosviluppo, derivante dall’interazione tra fattori neurobiologici e fattori di rischio ambientali.
In particolare, in una recente review di Davis e colleghi, si fa riferimento alla Schizofrenia come al risultato di un doppio processo in cui gioca un ruolo cruciale la vulnerabilità genetica, che farebbe da priming alla slatentizzazione del disturbo, interagendo, in periodi critici del neurosviluppo, con determinati fattori di rischio ambientali. In altre parole, a partire da una condizione di vulnerabilità genetica, l’azione di alcuni fattori di rischio (tra cui la malnutrizione materna in epoca prenatale, un basso quoziente intellettivo o esperienze traumatiche nei primi anni di vita come pure l’abuso di cannabis in adolescenza) determinerebbe l’esordio del disturbo.
La Schizofrenia in età evolutiva non può quindi essere considerata in termini dicotomici di presenza/assenza ma va piuttosto inscritta in un continuum di eventi sia di tipo neurobiologico che psicosociale.
Di qui la necessità di un modello clinico e terapeutico di riferimento che tenga conto dell’età in cui esordisce il disturbo ma soprattutto della stadialità del disturbo stesso. A tali requisiti risponde il Clinical Staging Model proposto da McGorry che considera i diversi stadi della Schizofrenia e propone interventi specificamente costruiti su di essi.
In termini operativi:
- gli interventi psicosociali, che prevedono un percorso psicoeducativo rispetto ai sintomi e al rischio di esordio psicotico, hanno un ruolo chiave nelle fasi più precoci del disturbo, caratterizzate dalla presenza di sintomi aspecifici o positivi sottosoglia associati a un declino funzionale sul piano sociale;
- nelle fasi successive, cioè di esordio psicotico franco, caratterizzate da una sintomatologia positiva conclamata e da una compromissione del funzionamento nelle diverse aree di vita (familiare, sociale e scolastico), è fondamentale la psicoterapia cognitivo-comportamentale individuale, di gruppo e il supporto familiare associati all’introduzione del trattamento farmacologico.
- nelle fasi avanzate, è essenziale combinare il trattamento cognitivo-comportamentale individuale e il supporto familiare con il trattamento farmacologico. Da non trascurare, inoltre, l’implementazione di interventi basati sulla Cognitive Remediation che mirano al trattamento dei deficit cognitivi che si associano alla sintomatologia psichiatrica e che risultano parimenti invalidanti.
Nel complesso, questi interventi prescindono da un approccio esclusivamente di tipo farmacologico poiché si è visto come gli antipsicotici abbiano un impatto limitato sulla sintomatologia negativa e praticamente nullo sullo sviluppo e sul potenziamento di quelle abilità sociali e quotidiane fondamentali per il recupero e inserimento del paziente all’interno della comunità.
Si ribadisce, dunque, la necessità di un approccio terapeutico il più possibile integrato che tenga conto del dato per cui, in età evolutiva, la Schizofrenia esordisce in un individuo in via di sviluppo sia sul piano neuroanatomico e neuropsicologico (es. plasticità sinaptica), sia sul piano psicologico ovvero di costruzione del sé e del proprio senso di efficacia.
Per approfondimenti:
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27106681