“Sono pigro?”. No, la pigrizia è una scelta

di Roberta Trincas

“Il ‘non far niente’ è la cosa più difficile da fare al mondo, la più difficile e anche la più intellettuale”. Oscar Wilde

Una persona si definisce pigra quando avrebbe la capacità di svolgere un’attività ma tende a non farla a causa dello sforzo che implicherebbe. Quando svolge l’attività in maniera approssimativa oppure si dedica ad altre attività meno faticose o meno noiose o ancora rimane inattiva. In altre parole, la motivazione a risparmiare gli sforzi è superiore alla motivazione a fare le cose necessarie o giuste.

La pigrizia si distingue dalla procrastinazione che, invece, è caratterizzata da stress, colpa o mancanza di produttività e che porta comunque al completamento del compito con notevoli costi per la persona. La pigrizia si distingue anche dall’indolenza, o “dolce far niente”, che può avvenire sia per pigrizia sia per diversi motivi, come non avere niente da fare o essere temporaneamente impossibilitati a farlo, o infine perché è stato già fatto qualcosa e ci si trova in un momento di riposo o recupero.

Secondo una prospettiva evoluzionistica, per gli esseri umani risultava utile un certo grado di pigrizia al fine di conservare le energie e canalizzarle in attività importanti come la caccia o la lotta con i predatori. Il desiderio portava all’azione e l’azione a un’immediata gratificazione, senza necessità di pianificare o prepararsi.

Tuttavia, attualmente la vita quotidiana richiede maggiori investimenti su attività che non hanno esito immediato ma portano a gratificazioni a lungo termine. Nonostante ciò, il nostro istinto di conservazione delle energie viene mantenuto vivo, per esempio rendendoci riluttanti a sprecare energie per progetti troppo astratti o per obiettivi con esito incerto. In quest’ottica, la pigrizia può risultare naturale e funzionale. Per una persona che ha un progetto, è importante valutare se il guadagno che ottiene impegnandosi risulta maggiore rispetto a ciò che perde stando fermo. Tuttavia, un problema che alimenta la pigrizia è che le persone tendono a non fidarsi di esiti troppo distanti e incerti e, non immaginando una soddisfazione a lungo-termine del loro operato, prediligono il disimpegno. Ciò accade per esempio, se si va a cena fuori con gli amici e si tende a mangiare in eccesso per il piacere immediato fornito dal cibo, non contemplando gli effetti a lungo termine sulla propria salute fisica. Un esempio contrario riguarda le persone sicure di sé, che tendono a fidarsi troppo del proprio successo sovrastimando le probabilità di esiti positivi, ma ciò consente loro di superare la naturale tendenza alla pigrizia e di impegnarsi.

Molte persone non sono intrinsecamente pigre ma lo sono perché non hanno ancora trovato ciò che vogliono o perché per svariati motivi non fanno ciò che desiderano. A peggiorare le cose vi è il fatto che alcune volte gli scopi o gli esiti di un’attività sono astratti e non definibili concretamente, per cui le persone non ottengono una soddisfazione concreta e sono meno propense a impegnarsi o attivarsi.

Altri fattori che possono portare alla pigrizia sono la paura e la disperazione. Alcune persone temono il successo o non hanno sufficiente autostima per dedicarsi a raggiungerlo. In questi casi, la pigrizia può essere una strategia di auto-sabotaggio. Diversamente, alcune persone temono il fallimento e la pigrizia è preferibile all’insuccesso. Queste persone tenderebbero a dirsi: “Non ho fallito, è che non ci ho neanche provato!”. Ancora, altre persone sono pigre perché considerano la loro situazione come disperata per cui non provano minimamente a modificarla. In questi casi le persone possono avere la convinzione di non avere le capacità adeguate per affrontare una difficoltà, per cui non si possono considerare veramente pigre.

In altre parole, la vera pigrizia presuppone la capacità di scegliere di non essere pigri, che a sua volta presuppone l’esistenza del libero arbitrio.

 

Per approfondimenti:

Neel Burton. Heaven and Hell. The Psychology of Emotions. Acheron Press.

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