Spregiudicato o frustrato: i profili del bullo

di Carlo Buonanno

bullismoComprendere i processi psicologici che guidano i comportamenti aggressivi per prevenire la violenza sulle vittime

Luca, cinquantenne alcolista, legato a un albero con il nastro adesivo. Come un pacco. I cinque bulli che lo hanno perseguitato hanno ignorato la scritta “fragile”. Lo hanno colpito. E c’è mancato poco che lo rompessero. Marco, invece, ha 17 anni. Si è alzato presto, come tutte le mattine. Solo per la levataccia meriterebbe il posto a sedere sulla corriera che lo porta a scuola. E invece no. Due bulli gli rompono il naso e gli rubano il posto. Hanno ignorato gli occhi di Marco, sprimacciati alle prime luci dell’alba. E se chiedessimo loro il perché di un atto così crudele, risponderebbero: “Era solo un gioco”.

Per aiutare le vittime, tocca conoscere i colpevoli. Per aiutare le vittime, tocca aiutare i colpevoli a non essere bulli. Meno bulli, meno vittime. E meno colpevoli.

Qual è l’identikit del giovane bullo? Perché è così aggressivo? E quali i processi psicologici che ne guidano i comportamenti?

Esistono due tipi di bullo: un bullo ben integrato nell’ambiente scolastico, con alta autostima e un buon livello di valore personale, e un bullo marginalizzato, con problemi emotivi, bassa autostima ed esperienze di vittimizzazione.

L’aggressività nel primo è parte del proprio “fascino”: il bullo agisce allo scopo di fare come gli pare e di controllare i comportamenti degli altri. Si tratta di bambini o adolescenti che attribuiscono priorità alla dimostrazione pubblica del proprio potere sociale, alla popolarità e allo status, preferenze che alimentano il ricorso a soluzioni aggressive. I bulli incoraggiano gli altri a fare gruppo, a stargli intorno. Definiscono se stessi e alimentano coesione e identità a un circolo esclusivo e ristretto, praticando violenza sulle proprie vittime. In altri termini, l’aggressione è proattiva e serve a definire la propria posizione, facendo precipitare gli altri nella gerarchia sociale.

I comportamenti aggressivi attivano gli altri a rispondere, a loro volta, aggressivamente: diversamente da coloro che ricorrono efficacemente all’aggressività per ottenere potere e risalire la gerarchia sociale, altri falliscono, ottenendo esiti opposti. Ecco, quindi, il secondo caso: i “Bully victim”. Si tratta di bambini che subiscono rifiuto e attacchi, che nelle relazioni tendono a mostrare atteggiamenti caratterizzati da particolari livelli di frustrazione, “bias” attributivi ostili (interpretazioni erronee degli stati mentali dell’altro) e scopi di vendetta.

A queste due tipologie corrispondono due mondi sociali: l’integrazione e la marginalizzazione. Alcuni bulli sono ben integrati, hanno un sorprendente alto livello di popolarità, hanno amici diversi ed esercitano vari livelli di bullismo. Mostrano ottime competenze sociali, sono atletici e molto attrattivi. L’aggressività, in questo caso, è al servizio dello scopo della dominanza. Alcuni di loro sono addirittura in grado di estendere il proprio repertorio sociale, includendo la capacità di riconciliarsi con le vittime o ridurre l’aggressività, una volta che la dominanza relazionale è stata stabilita con chiarezza. I bulli socialmente integrati sono, in altre parole, machiavellici. Popolari, socialmente competenti, con alta autostima e bassi livelli di psicopatologia.

I bulli marginalizzati, invece, sono ragazzi che alle spalle hanno diversi tentativi falliti di migliorare il proprio status. Poco competenti sul piano relazionale, tentano di acquisire potere dominando l’altro, ricorrendo a strategie coercitive. La comprensione della funzione del bullismo è, in questo caso, possibile all’interno di una cornice di rifiuto e di irrisolvibile conflitto col mondo.

Insomma, bulli “puliti” e bulli “sporchi”. Prepotenti per motivi diversi. A tenerli insieme, le vittime. Quelle sono tutte uguali. È necessario aiutare le vittime a proteggersi. È necessario aiutare i bulli a smettere.

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