di Angelo Maria Saliani
Cosa fare quando anche la cura diventa oggetto di valutazioni ossessive
Instaurare una buona alleanza terapeutica con una persona affetta da disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) non è impresa semplice. Le impasse tecniche e relazionali che segnalano problemi nel legame terapeuta-paziente e un accordo insufficiente su strategie e obiettivi terapeutici possono occorrere sin dalla fase iniziale di valutazione e, a seguire, nelle fasi di implementazione e chiusura del trattamento. Gran parte di queste difficoltà possono essere viste come vere e proprie trappole in cui paziente e terapeuta cadono. Un classico esempio è quello dello stallo che nasce dal timore del giudizio morale del terapeuta: il paziente si chiude in un riserbo sul contenuto proibito delle proprie ossessioni che rende arduo giungere alla formulazione del problema. Un altro esempio è quello della “spiegazione perfetta”: il paziente si dilunga nella spiegazione minuziosa del proprio sintomo ridefinendo continuamente le formulazioni proposte dal terapeuta o, al contrario, procede in modo lento e incerto rendendo vano il tentativo di giungere a una condivisione almeno provvisoria del problema.
Come suggerito da Saliani e Mancini nel libro “La Mente Ossessiva”, è lecito concettualizzare gran parte delle trappole in cui cadono paziente e terapeuta come espressione delle stesse strutture psicologiche che determinano i sintomi propriamente detti. Vale a dire, ad esempio, che lo stesso timore di colpa deontologica che porta una persona a fare controlli ripetuti del rubinetto del gas opera anche quando a essere valutata è la psicoterapia in cui si è impegnati. In altre parole, la terapia e tutto ciò che accade all’interno del setting può diventare oggetto di valutazioni ossessive determinando controlli continui sia sul modus operandi del terapeuta sia sul proprio impegno di paziente (con evidenti conseguenze negative sul processo terapeutico). L’effetto è l’apparente sabotaggio della propria cura: le strutture psicologiche che determinano il DOC intaccano la terapia stessa, nonostante tutte le migliori intenzioni e l’autentico desiderio di guarire, come un virus informatico intacca non solo i programmi comuni installati nel computer ma anche il programma antivirus.
Come impedire, allora, che il virus danneggi anche l’antivirus?
- Per prima cosa, padroneggiare lo schema di ricostruzione del profilo interno del disturbo. Quando il terapeuta riesce a condividere una formulazione – anche provvisoria – del problema, si assiste di solito ad una riduzione dell’autocritica che il paziente rivolge a se stesso e ad un aumento della motivazione al trattamento.
- Riconoscere la trappola: se il terapeuta non si accorge di essere in una trappola non ha modo di aiutare il proprio paziente a uscirne.
- Segnalare che si è in trappola. Questo intervento consente di fermare momentaneamente l’interazione problematica in corso.
- Condividere il funzionamento della trappola: far emergere in cosa consiste e verificare che sia stata compresa.
- Validare i vissuti e il comportamento del paziente: la persona in trattamento deve sentirsi compresa, non accusata di essere finita in trappola.
- Concordare un nome da dare alla trappola. Questa operazione favorisce una distanziamento critico, aiuta a guardarla dall’alto.
- Far emergere con atteggiamento socratico le analogie esistenti tra la trappola e i sintomi ossessivo-compulsivi. Questa operazione consente al paziente di ampliare la prospettiva da cui guarda il proprio disturbo.
- Evidenziare i costi, le conseguenze dannose che deriverebbero dalla persistenza della modalità ossessiva che determina la trappola.
- Legittimare l’abbandono della modalità ossessiva che determina la trappola: le persone in trattamento spesso pensano che sarebbe troppo comodo, irresponsabile, scorretto rinunciare alla modalità ossessiva e scelgono di continuare ad adottarla malgrado gli effetti dannosi che ne derivano.
- Riavviare la procedura di uscita a ogni ricomparsa di una trappola.
Per approfondimenti:
Saliani A.M. e Mancini F., (2016). Trappole durante il trattamento: credenze e scopi che le determinano e soluzioni. In Mancini F. (a cura di) La mente ossessiva, Parte II, cap. XXII, Raffaello Cortina, Milano.