di Elisabetta Pizzi
Inghiottiti dal vortice della sofferenza dei propri cari, i familiari di persone con DBP si trovano spesso ad affrontare da soli le situazioni più critiche
Il disturbo borderline di personalità (DBP) è un disturbo caratterizzato da un’instabilità pervasiva nei rapporti interpersonali, un’instabilità nell’immagine di sé e una marcata impulsività. Chi ne soffre mostra delle reazioni emotive molto intense che oscillano drammaticamente nel corso della giornata, anche per motivi apparentemente poco importanti. Questi cambiamenti d’umore sono dovuti a una difficoltà biologica e involontaria a regolare le proprie emozioni. Tutti sperimentano emozioni intense, come ad esempio la sensazione di avere il cuore in gola quando ci si accorge di aver appena rischiato di essere investiti da una macchina. Le persone con DBP esperiscono delle emozioni così intense regolarmente, senza avere la capacità di autocalmarsi. A volte il dolore emotivo è così forte da indurle ad attuare dei veri e propri comportamenti autodistruttivi – come tagli, bruciature sul corpo, uso di alcol e droghe, abuso di psicofarmaci e tentativi di suicidio – pur di sentire qualche forma di sollievo. I comportamenti autolesivi diventano, così, dei potenti “regolatori emotivi” in quanto consentono di abbassare le emozioni dolorose in modo molto veloce e automatico e distraggono dal problema. “Quando bevo non penso più a niente”, dicono spesso i pazienti in cura. Altre volte, invece, il dolore diventa rabbia incontrollata e si esprime attraverso aggressioni verbali e fisiche nei confronti di chi, in quel momento, viene percepito come un persecutore.
Vivere con una persona con DBP vuol dire sentirsi come sulle montagne russe. Inghiottiti dal vortice della sofferenza dei propri cari, aggrediti, colpevolizzati e spesso senza le competenze necessarie per soccorrere e supportare in modo adeguato, i familiari di persone con Disturbo Borderline si trovano il più delle volte ad affrontare da soli le situazioni critiche e il carico che ne deriva.
Esistono oggi dei programmi per familiari di persone con Disturbo Borderline finalizzati a fornire informazioni e a sostenere chi ne ha bisogno. Uno di questi è la family connections, una rete di familiari volontari che ha lo scopo di diffondere un protocollo di psicoeducazione per parenti e amici di persone con DBP. Da circa un anno ci sono gruppi di family connections anche in Italia.
Ci si può inoltre rivolgere a esperti del disturbo, specializzati in un trattamento psicoterapico la cui efficacia è stata dimostrata scientificamente attraverso studi sperimentali randomizzati e controllati (Randomized Control Trials, RCTs). Gli approcci empiricamente validati vengono indicati in alcune liste pubbliche: nella realtà anglosassone sono consultabili dagli utenti del servizio sanitario, dai clinici e dalle compagnie assicurative. In Italia, purtroppo, c’è meno informazione. Attualmente, i trattamenti che risultano efficaci per la cura di questo disturbo sono quattro: il Mentalization Based Treatment (MBT) di Anthony Bateman e Peter Fonagy, la Transference Focused Psychotherapy (TFP) elaborata dal gruppo di ricerca e di clinica coordinato da Otto Kernberg, la Schema Focused Therapy (SFT) di Jeffrey Young e la Dialectical Behavior Therapy (DBT) di Marsha Linehan. Quest’ultimo è il trattamento scientifico per il DBP più diffuso nel mondo, probabilmente più generalizzabile e più studiato, con oltre venti studi di ricerca condotti. Gli altri, in media, ne hanno uno o due ma cominciano a essere diffusi anche in Italia. Ci sono, inoltre, delle linee guida per familiari, pubblicate dalla
The New England Personality Disorder Association e usate all’interno del Programma di Gruppo Multifamiliare del professor John G. Gunderson, tradotte in italiano e facilmente consultabili attraverso il sito americano di family connections.
Per approfondimenti: