di Monica Mercuriu
Un deficit nell’identificazione delle emozioni facciali può costituire un buon predittore di disturbi depressivi
Molti studi, anche se con risultati diversi e non sovrapponibili, hanno evidenziato come un “bias” (interpretazione) nell’identificazione delle emozioni facciali possa giocare un ruolo fondamentale nel corretto sviluppo emotivo di un adolescente e possa costituire un fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di sintomi depressivi in adolescenza e in età adulta. La depressione all’inizio o nel corso dell’adolescenza viene stimata con una prevalenza tra il 4 e l’8% sulla popolazione mondiale per arrivare, tra i 10 ed i 19 anni, al 28% ed è correlata fortemente al rischio di suicidio. Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (volume di riferimento per psicologi e psichiatri di tutto il mondo, meglio noto come “DSM 5”), i due sintomi principali della depressione sono l’“anedonia” (perdita di piacere) e la tristezza; sperimentare uno di questi sintomi è una condizione necessaria per ricevere una diagnosi di disturbo depressivo. Il peso della depressione dei ragazzi non si limita all’adolescenza: la depressione in adolescenza è un forte predittore di depressione negli adulti.
Le teorie cognitive contribuiscono a mettere in luce come i “bias” negativi possono avviare, mantenere e rafforzare gli schemi depressivi, sostenendo che gli stimoli congruenti con il tono dell’umore vengono elaborati più facilmente e in modo corretto rispetto agli stimoli non congruenti. Secondo queste teorie, la persona depressa presenta “bias” negativi praticamente per tutti i tipi di elaborazione delle informazioni, tra cui la percezione, l’attenzione e la memoria. Dal punto di vista dei modelli neuropsicologici e cognitivi sulla depressione, che tentano di conciliare la teoria cognitiva con i risultati neurobiologici, i “bias” di elaborazione dell’emozione sono essenziali per comprendere i meccanismi della depressione poiché possono essere presenti ancor prima che l’umore inizi a deteriorarsi e costituiscono uno dei principali meccanismi di funzionamento per il trattamento della depressione.
Un deficit nell’identificazione delle emozioni facciali può, dunque, costituire un buon predittore dello sviluppo di disturbi depressivi in adolescenza? Se lo sono chiesti Vrijen e altri studiosi, che hanno condotto una ricerca su un campione di 1840 soggetti, tra maschi e femmine, valutati all’età di 11 anni e seguiti in follow-up per circa otto anni.
Lo scopo dello studio esplorativo è stato sia quello di esaminare se l’identificazione dell’emozione facciale nella prima adolescenza costituisse un buon predittore per l’insorgenza di un disturbo depressivo, sia in che modo agisse sulla differenziazione tra sintomi di “anedonia” e di tristezza e, se questo avvenisse, in relazione alla congruenza del sintomo e ad uno specifico contenuto.
I risultati forniscono la prova sperimentale a favore dell’ipotesi che l’identificazione dell’emozione facciale nella prima adolescenza predica l’insorgenza del disturbo depressivo e i sintomi di “anedonia” entro otto anni di follow-up. A sostegno dell’ipotesi di congruenza col sintomo, sia il rischio di disturbo depressivo sia il rischio di “anedonia” sono stati associati con una più lenta identificazione di emozioni felici; il rischio di “anedonia” è stato anche associato a una più rapida identificazione di emozioni tristi. Tuttavia, non sono state riscontrate prove efficaci circa l’ipotesi che i sintomi di tristezza siano buoni predittori per l’identificazione più veloce di emozioni di triste. La depressione in adolescenza è spesso non riconosciuta e non adeguatamente trattata, pertanto, una migliore comprensione degli aspetti psicologici e neuropsicologici a essa connessi può essere utile sia per effettuare una diagnosi precoce sia come obiettivo in trattamento.
Per approfondimenti:
Vrijen, Charlotte, Catharina A. Hartman, and Albertine J. Oldehinkel. “Slow identification of facial happiness in early adolescence predicts onset of depression during 8 years of follow-up.” European child & adolescent psychiatry (2016): 1-12.