Quelle modalità che possono ostacolare le comunicazioni e le relazioni durante una richiesta di ascolto o di aiuto
La comunicazione è un processo fondamentale nello scambio di significati tra gli individui. In un processo circolare vi è un momento in cui la persona “A” emette un messaggio e la persona “B” lo riceve, diventando immediatamente emittente e trasmettendo un altro messaggio ad “A” che diviene ricevente e così via. Come affermavano Watzlawick e i colleghi della scuola di Palo Alto, tutto è comunicazione e non si può non comunicare a prescindere dal fatto che i partecipanti ne siano o meno consapevoli. La comunicazione avviene attraverso mezzi che non comprendono solo i canali verbali ma anche quelli non verbali (tono, postura, prossemica, aspetto). Il contenuto di un messaggio può essere rafforzato oppure contrastato dall’espressione non verbale, a seconda che questa sia congruente o meno (una persona può dichiarare di non voler litigare con tono calmo e muscoli rilassati oppure gridando e aggrottando la fronte). A volte è il background di chi recepisce il messaggio a influenzare come questo verrà letto. È importante, quindi, distinguere ciò che si comunica e ciò che l’altro recepisce a prescindere dall’intenzione comunicativa perché può capitare che vi siano delle incongruenze tra la volontà di esprimere un contenuto e quanto viene ricevuto.
Lo psicologo americano Thomas Gordon identifica nelle seguenti modalità comunicative dei veri e propri ostacoli alla relazione, sebbene l’intenzione sia quella di aiutare:
Rassicurare, consolare: “Non aver paura!”, “Su, dai, fatti coraggio!”. Frasi come queste possono indurre l’altro a non sentirsi compreso, suscitando sentimenti di ostilità che potremmo verbalizzare con: “È facile per te dire questo”. Spesso può capitare quindi che l’altro colga il messaggio come: “Non mi piace che tu stia male” o “Non c’è motivo di star così male!”.
Offrire soluzioni, consigli, avvertimenti: “Perché tu non…”, “Ti vorrei suggerire di…”. Queste espressioni possono sottintendere che l’altro non sia in grado di risolvere i propri problemi e gli impediscono di riflettere da solo sul suo problema, di considerare soluzioni alternative e di sperimentarle realmente. Le reazioni possibili potrebbero essere di dipendenza o di ribellione.
Moralizzare, far prediche: “Tu dovresti…”, “Sta al tuo senso di responsabilità di…”. È possibile che tali espressioni generino nell’altro una sensazione di costrizione o sensi di colpa, comunicando una mancanza di fiducia nel suo senso di responsabilità. La reazione potrebbe essere quindi un barricarsi difensivo dell’altro sulle proprie posizioni.
Indagare, investigare: “Perché?”, “Ma cosa hai fatto…?”. In questo caso il rischio che si corre è che, piuttosto che focalizzare l’attenzione sul problema dell’altro, ci si concentri sulle proprie ansie e necessità di controllo e che l’altro si senta impegnato a rispondere alle domande investigative, trovandosi ansioso, perdendo di vista il proprio problema e avvertendo un senso di costrizione.
Giudicare, biasimare: “Tu sei un egoista”, “Stai sbagliando”. Queste espressioni manifestano una valutazione di incompetenza, stupidità, povertà di giudizio. Vengono valutate spesso come rimproveri e critiche non come manifestazioni di interesse. Può capitare che l’interessato a tale comunicazione accetti il giudizio formulato come veritiero (“sono sbagliato”) oppure all’opposto risponda aggredendo a sua volta (“Tu stesso non sei maturo come credi!”).
Attenzione, quindi, quando si vuole consolare un amico perché sempre più sembra esser vero il vecchio aforisma secondo il quale “La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
Per approfondimenti:
Gordon T. (1994) Genitori efficaci. Bari, La Meridiana
Marmocchi P., Dall’Aglio C., Zannini M. (2004). Educare le life skills. Come promuovere le abilità psico-spciali e affettive secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Trento, Erickson.
Watzlawick P., Helmick Beavin J., Jackson D.D. (1971). Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio.