Perché si vagheggia di cullarsi nell’inerzia ma poi si è incapaci di stare con le mani in mano?
Il “dolce far niente” è un’espressione conosciuta nel mondo, riferita alla tendenza a cullarsi nell’ozio, favorita da un clima mite e da una natura benevola. Differente dall’otium latino, corrisponde a una visione romantica del rapporto tra uomo e Natura, all’aspirazione a una condizione di benessere primigenio in cui ogni sforzo è superfluo. Nella trasposizione disneyana de “Il libro della Giungla” di Kipling, l’insegnamento dell’orso Baloo sullo “stretto indispensabile” è presentato come un cattivo esempio per il cucciolo d’uomo Mowgli. L’Inghilterra Vittoriana aveva recepito, a suo modo, la lezione darwiniana della battaglia per la sopravvivenza e il piccolo Mowgli, per diventare un uomo, avrebbe dovuto imparare a vincere la pigrizia. Da un punto di vista evoluzionistico, l’orso Baloo aveva ragione: le specie all’apice della catena alimentare, predatori come gli orsi e i felini, hanno un “coefficiente di ozio” più elevato poiché più efficienti nel provvedere ai propri bisogni di sopravvivenza. Per quanto riguarda Mowgli, cioè la specie umana, la possibilità di sconfiggere la tigre Shere Khan e trasformarsi da preda in predatore risiede nella capacità di padroneggiare il fuoco.
Misurato con i tempi dell’evoluzione della specie, il passo dal fuoco alla modernità è assai breve. Il primo elogio dell’ozio dell’era industriale proviene da un altro inglese, Bertrand Russell, il cui pensiero si oppone all’allora predominante etica del lavoro e della produttività: “Il tempo libero è necessario alla civiltà – si legge nel saggio “In praise of idleness” – e in tempi passati lo si garantiva a pochissimi grazie al lavoro dei tanti. Ma gli sforzi dei tanti erano preziosi, non perché il lavoro è bene, ma perché il tempo libero è bene”. Russell ricorda tre cose importanti sull’ozio: 1) che esiste una dialettica tra otium e negotium; 2) che l’ozio non serve soltanto a recuperare le energie all’interno di un ciclo di produzione; c) che nell’improduttività risiede lo spazio per l’evoluzione del pensiero e della cultura.
La scienza contemporanea cosa dice? Ha fatto clamore uno studio che dimostra come i soggetti più portati a impegnarsi in attività cognitive svolgano meno attività fisica: “i pigri sono più intelligenti”, ha concluso qualche testata giornalistica ma, a ben vedere, lo studio dice solo che chi fa più esercizio con la testa ne fa meno con le gambe o viceversa. Chi studia il funzionamento del cervello aggiunge che le persone meno propense a fare sforzi hanno una maggiore attività di pianificazione rispetto a chi tende a passare subito all’azione. Difficile stabilire se questa più intensa attività di pianificazione sia un bene o un male.
Ma l’argomento più confondente che è circolato di recente suona così: “siamo nati per oziare ma abbiamo bisogno di tenerci impegnati a costo di inventarci degli obiettivi”. È stata battezzata “idleness aversion” (avversione per l’ozio) e spingerebbe a perseguire alcuni scopi solo per tenersi occupati. La maggior parte delle persone, a parità di ricompensa, di fronte alla scelta se recapitare una lettera in un edificio che dista 15 minuti di cammino oppure aspettare 15 minuti affinché il destinatario arrivi, propende per rimanere seduta ad aspettare. Se, però, recapitando la lettera si ottiene una barretta di cioccolato bianco e restando seduti una barretta di cioccolato fondente (o viceversa), la tendenza prevalente sarà quella di mettersi in cammino. Non solo: a cose fatte, chi sceglie il compito più impegnativo lo troverà più appagante. Le persone, quindi, hanno bisogno di spendere energie e per questo inventano degli scopi fittizi? Forse, a bene vedere, lo studio mostra che si ha bisogno di avere uno scopo e che quando lo si trova si è ben felici di impiegare delle risorse per perseguirlo. Agire con uno scopo dà senso alla vita e scegliere di farlo rende liberi: per questo stare seduti ad aspettare il proprio turno allo sportello non è come stare seduti a bordo piscina in un resort dei Caraibi.
Per approfondimenti:
Bonnelle V, Manohar S, Behrens T, Husain M (2015): “Individual Differences in Premotor Brain Systems Underlie Behavioral Apathy”. Cerebral Cortex, Volume 26, Issue 2, Pp. 807-819.
Hsee CH, Yang AX, Wang L (2010): “Idleness Aversion and the Need for Justifiable Busyness”. Psychological Science 21(7), 926–930.
McElroy T., Dickinson DL, Stroh N, Dickinson CA (2016): “The physical sacrifice of thinking: Investigating the relationship between thinking and physical activity in everyday life”. Journal of Health Psychology, Vol. 21(8) 1750–1757.
Straley J, (2016): “Evolution and imagination in Victorian children’s literature”. Cambridge University Press.