La teoria della violazione morale benigna prova a spiegare cosa fa ridere
Bisogna risalire fino agli antichi greci per identificare il primo utilizzo del termine “umore”. Nello specifico, questa parola era utilizzata per riferirsi a dei fluidi corporei che avevano il potere di influenzare sia funzioni fisiche che psichiche. Poi, con il passare del tempo, con senso dell’umore ci si è riferiti a un costrutto che aveva un significato legato a una connotazione di arguzia, comicità e tendenza alla risata, anche se non necessariamente in senso benevolo. Nel XVII secolo era considerato accettabile ridere di deformità fisiche di persone, di sfortune altrui e lo scambio di considerazioni ostili ma spiritose era considerata una forma di interazione alla moda per l’alta società. Questa connotazione si venne a perdere nel XVIII secolo, quando questa forma aggressiva di ilarità fu considerata gretta e volgare. Proprio per distinguere una forma di risata accettabile, venne usata l’espressione “senso dell’umore”, riferendosi a quelle imperfezioni del mondo o della natura umana in modo simpatico, benevolo e non ostile. Quindi, la distinzione tra due forme di “risata”, una ostile e una non ostile, è stata mantenuta anche da molti psicologi teorici come Freud, Maslow, Allport e Vaillant. Oggi, il senso dell’umorismo può essere concettualizzato come un modello di comportamento abituale (tendenza a ridere spesso, a raccontare barzellette e divertire gli altri, a ridere per le battute altrui), un’abilità (capacità di creare umorismo, di divertire gli altri, di “fare battute”), un tratto temperamentale (allegria abituale), una risposta estetica (tendenza a ridere verso particolari tipi di materiale), un atteggiamento (atteggiamento positivo verso l’umorismo e la gente divertente), una visione del mondo (prospettiva leggera sulla vita) o di una strategia di coping (tendenza a mantenere una prospettiva umoristica di fronte alle avversità). Uno psicologo teorico di nome MacGrow ha coniato una teoria del senso dell’umore: la teoria della violazione morale benigna. Basandosi su dati sperimentali ha identificato tre caratteristiche necessarie e sufficienti a stimolare divertimento: primo, ci deve essere una violazione morale, secondo questa deve essere percepita in modo benigno, terzo, questi due fattori devono accadere simultaneamente. Conseguentemente a questi tre fattori si avrà un’emozione di divertimento collegata anche a un lieve senso di disgusto data la componente della violazione morale. L’autore conclude considerando l’umorismo come una risposta positiva e adattiva a delle violazioni morali benigne. L’umorismo fornisce, quindi, un modo sano e socialmente vantaggioso per reagire alle ipotetiche minacce, a delle preoccupazioni, a piccoli contrattempi, a incomprensioni culturali e a altre benigne violazioni che le persone incontrano nella loro quotidianità.
Una risposta a “Il senso dell’umore: come funziona la risata”