La resilienza nei bambini, una capacità di controllo cognitivo ed emotivo in condizioni avverse
Metropolis. Un uomo aggredisce una ragazza. La donna urla e chiede aiuto. Dall’altro capo della città, Clark Kent entra nella cabina del telefono. Un turbine di polvere e ombre ed ecco Superman, l’eroe che salverà la ragazza. Figlio di Jor-El, Superman ha precocemente perso madre e padre. Il suo pianeta è esploso e lui, neonato, è stato sparato in orbita direzione terra, in una capsula che in confronto la scimmia di ferro di Harlow è una culla alimentata a calore materno. Va tutto bene. La capsula entra nell’atmosfera rovente, precipita, si schianta. Il bimbo è miracolosamente salvo. Ma non è tutto. Il piccolo incontra due genitori amorevoli e, diversamente da quello che sarebbe accaduto sul proprio pianeta, sviluppa superpoteri che metterà al servizio dell’umanità. Un’ordinaria storia di resilienza.
Gli esseri umani non sono un fumetto e non lo sono soprattutto i cuccioli di essere umano. Eppure, le storie di vita sono piene di pianeti che esplodono, di basi sicure che, traumaticamente e all’improvviso, vengono meno. Basi che vanno in frantumi sotto l’urto di urla e porte sbattute o che si sgretolano, inesorabilmente, esposte come sono alla lenta e implacabile erosione della trascuratezza. Il disagio psicologico nasce in queste relazioni, anche se non tutti i bambini sviluppano psicopatologia. Da qualche parte, c’è un superboy in grado di resistere: un bimbo con il dono della resilienza. Non bisogna, però, lasciarsi trarre in inganno. Già perché, a onor del vero, pare non ci siano tratti eccezionali. La resilienza, insomma, non sarebbe il risultato di una sanità mentale straordinaria. E allora cos’è? Una definizione accademica la descrive come un costrutto che include caratteristiche di tenacia, autoefficacia, capacità di controllo cognitivo ed emotivo in condizioni avverse, una disposizione alla flessibilità e all’adattabilità, alla tolleranza alle emozioni. Inoltre, la resilienza andrebbe considerata un processo e non un tratto personale, tanto che alcune ricerche longitudinali dimostrerebbero come essa sia un costrutto che si modifica nel tempo. Tra le caratteristiche individuali, quella che sembra pesare di più nella definizione della resilienza è la malleabilità di alcuni fattori protettivi. In questo caso, il riferimento è in parte al Quoziente Intellettivo. Ma più dell’intelligenza, è la maturità cognitiva a conferire protezione nei confronti delle avversità. In particolare, la capacità di accedere a diverse strategie di problem solving, di generalizzare gli apprendimenti, la motivazione a esplorare e a fronteggiare nuove sfide, la capacità di pianificazione a lungo termine. Forse quello che accade ad alcuni bambini che hanno perso un genitore si avvicina di più a una descrizione esaustiva della resilienza: in questi casi, è l’abilità a riformulare le credenze negative associate alla morte del congiunto a favorire un’elaborazione più rapida del lutto. Oppure, si prendano in considerazione le reazioni di bambini di genitori depressi. Quelli che tra di loro funzionano meglio hanno una particolare consapevolezza di cosa stanno affrontando: riconoscono la malattia del genitore, sanno di non esserne responsabili e vedono se stessi come separati dai propri genitori. La cosa più importante è che riescono a verbalizzare questa esperienza, una prerogativa che li mette in grado di articolare strategie per fronteggiare gli effetti che la depressione del genitore potrebbe avere su di loro. Si tratta di bambini con una spiccata consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri pensieri, che si sentono efficaci, che non mostrano fatica nel riconoscere che alcune situazioni sono complesse e possono essere caratterizzate da diversi aspetti. Reazioni ordinarie a eventi potenzialmente traumatici. Predittori di resilienza. Reazioni straordinarie selezionate nel corso dell’evoluzione. Funzionano. Solo fino all’arrivo della kryptonite.