Per far sì che il paziente si liberi dei sensi di colpa patogeni, il terapeuta dovrà superare i test a cui sarà sottoposto dal suo assistito
Secondo Weiss e Sampson, padri della Control-Mastery Theory (CMT), la sofferenza emotiva è spesso determinata dai sensi di colpa. Da questi sarebbe possibile affrancarsi se solo si avesse modo di sperimentare quel senso di sicurezza necessario per riconoscere e abbandonare le credenze patogene che ne sono alla base e che ostacolano il benessere psicologico. Il terapeuta ha questo compito cruciale: far sentire il paziente al sicuro. Per riuscire nell’intento terapeutico, deve superare i test ai quali il suo assistito lo sottopone nel corso della terapia, ipotizzando e formulando, dopo le prime sedute, quello che gli autori chiamano “il piano inconscio del paziente”. In particolare, deve: 1. individuare gli obiettivi sani e piacevoli del paziente; 2. riconoscere le credenze patogene e i sensi di colpa che ostacolano il perseguimento di questi obiettivi; 3. capire quali traumi del passato hanno portato allo sviluppo delle credenze patogene; 4. prevedere i test ai cui sarà sottoposto; 5. ipotizzare gli insight (le intuizioni risolutrici) utili al perseguimento del piano.
Secondo la CMT, le credenze patogene sono, dunque, l’elemento fondamentale nella spiegazione della sofferenza emotiva e, al tempo stesso, il bersaglio dell’intervento terapeutico. Dalle credenze patogene deriverebbero quattro sensi di colpa interpersonali ben descritti da Valeria Crisafulli e Francesco Gazzillo: il senso di colpa da separazione/slealtà (la persona non si consentirebbe di andare nella direzione dei propri scopi sani per non lasciare/tradire le persone affettivamente significative della propria vita); il senso di colpa da responsabilità onnipotente (la persona è convinta di avere il dovere e il potere di determinare la felicità degli altri o di prevenirne l’infelicità); il senso di colpa del sopravvissuto (la persona non tollera di poter risultare più felice, fortunata, sana di un’altra); il senso di colpa da odio di sé (la persona si ritiene profondamente e intrinsecamente sbagliata, difettosa, colpevole della propria natura indegna e non meritevole di amore).
I sensi di colpa esageratamente intensi porterebbero ad atteggiamenti e stili di vita problematici, contrari al proprio benessere e talvolta apertamente patologici: esagerata compiacenza, passività, sacrificio, espiazione o, al contrario, atti di ribellione sterili, maldestri, controproducenti o, infine, tentativi inconsapevoli di smettere i panni della vittima colpevole per indossare quelli del torturatore. Nelle relazioni, questi atteggiamenti assumerebbero la funzione di test, tentativi di mettere alla prova le credenze patogene alla base dei sensi di colpa, allo scopo di falsificare le prime, liberarsi dei secondi e perseguire i propri obiettivi sani. Al terapeuta il compito di riconoscere e superare i test e consentire al paziente di sperimentare quel senso di sicurezza necessario alla realizzazione del proprio piano.
Per approfondimenti:
J.Weiss (1993). Come funziona la psicoterapia. Tr. It. Bollati Boringhieri, Torino 1999
F. Gazzillo (2016). Fidarsi dei pazienti. Raffaello Cortina Editore