di Lorenzo Cruciani
curato da Alberto Chiesa
Le pratiche di meditazione basate sulla mindfulness (MMPs) sono un sottogruppo di pratiche meditative basate su una modalità particolare di prestare attenzione al presente, in maniera non giudicante. Il concetto di mindfulness trova le sue radici nella filosofia buddista ed è un elemento chiave in alcuni stili di meditazione. Nelle ultime decadi il training mindfulness è stato incorporato in svariati programmi clinicamente orientati, come ad esempio la Mindifulness Based Stress Reduction (Kabat-Zinn, 1990), la Mindfulness Based Cognitive Therapy (Segal, Williams & Teasdale, 2002), la Dialectical Behavior Therapy (Linhean, 1993) e l’Acceptance e Commitment Therapy (Hayes, Strosahl, & Wilson, 1999). Il crescente interesse verso queste pratiche ha fatto in modo che gli studi sugli effetti benefici della mindfulness (diminuzione della sintomatologia ansiosa, depressiva o del consumo di alcol ad esempio) aumentassero; nonostante ciò risultano relativamente esigue le ricerche che indagano i correlati neuropsicologici di tali pratiche. In risposta a questo problema il gruppo di Chiesa ha effettuato una review della bibliografia, analizzando 4515 studi, indicizzati nei principali databases, selezionandone in tutto 23, che presentavano specifiche caratteristiche metodologiche e un elevato rigore scientifico. Il primo obbiettivo degli studiosi è stato quello di fornire una definizione scientifica e psicologicamente orientata del costrutto di mindfulness, enfatizzandone le due caratteristiche principali: la focalizzazione sull’esperienza interna ed esterna, nel qui ed ora e l’attitudine non giudicante e aperta. Le funzioni cognitive esaminate includono le sottocomponenti dell’attenzione, della memoria e delle funzioni esecutive. L’ipotesi che la review intendeva verificare è che la pratica della mindfulness sia il risultato del padroneggiamento delle abilità di attenzione focalizzata, le quali permetterebbero di agganciare l’attenzione ad uno stimolo target, controllare l’attività di mind wandering, sganciarsi dai distrattori e riagganciare il target. Con la pratica aumenterebbe il controllo di tali processi che verrebbero automatizzati, richiedendo quindi sempre meno controllo consapevole. Dall’analisi degli studi è emerso che, quando il training della mindfulness viene effettuato rispettando i criteri del trattamento, è possibile osservare dei benefici significativi rispetto ad altri training o alle condizioni di controllo. I miglioramenti riscontrati riguardano l’attenzione selettiva, esecutiva e sostenuta. È stato osservato anche un miglioramento nei compiti che implicano l’attentional blink, nella conservazione della working memory, l’incremento del social problem solving e della memory specificity, un fattore di protezione contro la depressione. Migliorare queste abilità permetterebbe di sviluppare un maggiore controllo rispetto alle emozioni, ai pensieri negativi e alla loro elaborazione, favorendo il benessere generale dell’individuo attraverso la diminuzione della ruminazione e della tendenza all’evitamento. Quanto appena descritto richiede periodi relativamente lunghi di pratica. Inoltre gli studi presi in esame dalla review spesso presentano dei limiti metodologici e i risultati, in alcuni casi, potrebbero esser dovuti a effetti non specifici del training. Risulta importante quindi incrementare e approfondire gli studi per far fronte ai limiti appena presentati e per capire quali sottocomponenti delle MMPs utilizzare per potenziare specifiche capacità cognitive ed emotive.
Bibliografia
Chiesa A., Calati R., Serretti A. Does mindfulness training improve cognitive abilities? A systematic review of neuropsychological findings. Clinical Psychology Review, 31 (3): 449-464, 2011.