“Ridendo, l’uomo si sente vivere”

di Alessandra Nachira

Le persone capaci di utilizzare l’umorismo come strategia di coping manifestano minori livelli di ansia in quanto fattore protettivo rispetto al disagio psicologico

 “Ridendo, l’uomo si sente vivere” diceva Henry Bergson. Da diversi anni la comunità scientifica ha indirizzato il suo interesse sugli aspetti psicologici dell’umorismo e del suo effetto benefico. Sono ormai di conoscenza comune le proprietà rilassanti di una buona risata, in quanto è implicata nella regolamentazione del piacere e nella gestione degli stati di stress. Le persone capaci di utilizzare l’umorismo come strategia di coping (adattamento) manifestano minori livelli di ansia in quanto rappresenta un ottimo fattore protettivo rispetto al disagio psicologico. Nello specifico, il coping umoristico comporta l’attivazione di processi cognitivi di ridefinizione dello stressor (fattore stressante) e di processi affettivi di attenuazione delle emozioni negative.
Martin, nel 2001, spiega come “il senso dell’umorismo porterebbe grande giovamento attraverso: la mediazione degli stati emotivi piacevoli che lo accompagnano, l’aumento di intimità e di soddisfazione nelle relazioni sociali, la riduzione dello stress e l’attuazione di strategie di coping maggiormente adattive”.
L’umorismo rappresenta un fenomeno psicologico complesso che comprende vari aspetti: comportamentale (nelle tipiche espressioni del corpo), fisiologico (nella modificazione di parametri quali la respirazione o il battito cardiaco), cognitivo (nella percezione di un’incongruità o paradosso in un contesto di gioco), emotivo (nell’esperienza di vissuti piacevoli) e sociale (nei suoi aspetti comunicativi e interpersonali).
In letteratura esistono due tipi di umorismo: umorismo benevolo e umorismo non benevolo. Dell’umorismo benevolo fanno parte due stili umoristici: 1) lo stile umoristico affiliativo, caratterizzato da una predisposizione al ridere, a raccontare storie divertenti, a porsi in maniera spiritosa con gli altri al fine di farsi accettare socialmente; 2) lo stile umoristico autorinforzativo, che permette di trovare aspetti comici e ridicoli in ogni situazione, specialmente in quelle difficoltose, al fine di far fronte alle situazioni stressanti.
Dell’umorismo non benevolo, invece, fanno parte: 1) lo stile aggressivo, usato per deridere gli altri; 2) lo stile autosvalutativo, usato per autoderidersi.
In particolare, gli stili umoristici benevoli risultano essere associati a un’alta autostima, a bassi livelli di depressione e di ansia e a una maggiore percezione di empowerment (senso di padronanza e controllo su ciò che riguarda la propria vita). Gli stili umoristici non benevoli, invece, sono associati a una minore autostima, a maggiori livelli di ansia e di depressione e ad una minore percezione di empowerment.
L’umorismo benevolo, inoltre, non nuoce agli altri, che spesso tendono ad apprezzare e cercare la compagnia di chi ne è dotato.
Per concludere, sembra esserci una relazione positiva fra umorismo affiliativo e autorinforzativo: le persone che hanno la tendenza a dire cose spiritose, a divertirsi con gli altri, sono anche capaci di utilizzare lo humour come modo per tenersi su di morale. D’altro canto, anche umorismo aggressivo e autosvalutativo sono positivamente correlati, cioè chi usa l’umorismo in modo ostile verso gli altri (con sarcasmo o manipolando gli altri) tende anche a farne un uso autosvalutante. Interessante anche la relazione positiva fra umorismo affiliativo e autosvalutativo: le persone che utilizzano l’umorismo per creare e mantenere i propri rapporti sociali tendono anche a mettersi in ridicolo con gli altri, prendendosi in giro e ridendo dei propri difetti.

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