di Miriam Miraldi
Il Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è una condizione psicopatologica eterogenea, caratterizzata dalla presenza di pensieri intrusivi o ossessioni, che il paziente cerca di controllare attraverso compulsioni che possono essere overt (p.es. rituali comportamentali) o covert (cognizioni neutralizzanti). Uno dei sottotipi più frequenti è il DOC da contaminazione con rituali di lavaggio. La ricerca ha dimostrato che tale sottotipo è associato a bias di attenzione, memoria e giudizio, relativi all’emozione di disgusto e che attiva comportamenti di evitamento. Secondo il costrutto denominato “sympathetic magic”, in questi pazienti, quando uno stimolo neutro viene a contatto con uno stimolo disgustoso, lo stimolo neutro assume proprietà di disgusto (regola del contagio); così come pure uno stimolo neutro può essere considerato disgustoso per similitudine (regola della somiglianza).
La terapia per il Disturbo ossessivo-compulsivo in genere si realizza attraverso tecniche di esposizione agli stimoli temuti, come l’E/RP (Exposure and response prevention). In generale, l’ERP si concentra sulla riduzione di reazioni di ansia/paura, associata a stimoli target. Non sempre è invece adeguatamente stimato, a livello trattamentale, il ruolo del disgusto, specie in quei pazienti che soffrono di DOC da contaminazione, anche perché si è visto che è più difficile ridurre l’intensità di questa emozione attraverso l’abituazione. Alcune ricerche, per esempio sull’aracnofobia (Smiths et al., 2004), suggeriscono che anche il disgusto può essere trattato con tecniche espositive, purchè indipendenti dai segnali ansiogeni e mirate su segnali di disgusto.
In uno studio preliminare MacKey ha comparato un gruppo di pazienti con DOC da contaminazione (C-OC), con un gruppo di pazienti con altri sintomi ossessivo-compulsivi (O-OC). Ci si aspettava che, in pazienti con DOC da contaminazione, l’abituazione a elementi di disgusto sarebbe stata raggiunta attraverso la tecnica E/RP. Tutti i partecipanti sono stati esposti sia a una serie di stimoli di disgusto (cassonetti della spazzatura sporchi, cibi appiccicosi, acqua sporca, ecc.), sia a stimoli di tipo ansiogeno specifici per ciascuno. I confronti hanno mostrato che, sebbene entrambi i gruppi avevano una diminuzione delle reazioni disgusto, il gruppo C-OC si è abituato più lentamente ed in misura minore rispetto al gruppo O-OC. Non emerge invece alcuna differenza tra i due gruppi relativamente alla riduzione del disagio di fronte a stimoli ansiogeni.
I risultati suggeriscono che il timore di contaminazione si basa anche su reazioni disgusto, e che il disgusto è in parte suscettibile di interventi trattamentali di esposizione. Questo potrebbe spiegare anche perché che la risposta al trattamento tra gli individui con OCD è, in parte, dipendente dalla durata e della frequenza di esposizione (Foa et al., 2002), che sono comunque entrambe maggiori di quanto non lo siano per altri disturbi d’ansia. Recenti ricerche hanno inoltre suggerito che il timore di contaminazione è associato ad un elevato livello di predisposizione al disgusto, che potrebbe contribuire ad un aumento di comportamenti di evitamento (Woody & Teachman, 2000).
Per offrire un trattamento terapeutico più efficace, sono necessarie ulteriori ricerche che affrontino la diversità degli stimoli disgusto e il grado di abituazione al disgusto tra i diversi sottotipi di disturbo ossessivo-compulsivo.
McKey, D. (2006). Treating disgust reactions in contamination-based obsessive-compulsive disorder compulsive disorder. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry 37(1):53-9 2006
Smits, J. A. J., Telch, M. J., & Randall, P. K. (2004). An examination of the decline in fear and disgust during exposure-based treatment. Behaviour Research and Therapy, 40, 1243–1253.
Foa, E. B., Franklin, M. E., &Moser, J. (2002). Context in the clinic: How well do cognitive–behavioral therapies and medications work in combination. Biological Psychiatry, 52, 987–997.
Woody, S. R., & Teachman, B. A. (2000). Intersection of disgust and fear: Normative and pathological views. Clinical Psychology: Science and Practice, 7, 291–311.