di Manuel Petrucci
“You’ll remember me, when the west wind moves, upon the fields of barley. You can tell the sun in his jealous sky, when we walked in fields of gold”. Sting, Fields of gold
Il medico svizzero Johannes Hofer nel 1688 coniò il termine “nostalgia” (dalle parole greche nóstos, “ritorno”, e álgos, “dolore”) per descrivere la sofferenza che affliggeva i soldati svizzeri che prestavano servizio all’estero. Tale sofferenza era particolarmente evidente quando risuonava nell’aria il canto dei pastori belgi o francesi, che in modo potente e vivido evocava nei soldati immagini dolci e al contempo struggenti dei luoghi e delle persone care che si erano lasciati alle spalle. In generale, accadeva spesso che i soldati si mostrassero profondamente tristi, facili al pianto, inappetenti, inquieti, insonni, deperiti e più esposti allo sviluppo di patologie organiche anche fatali. E desiderosi di ricevere congedo e tornare a casa. Premurosamente, le alte sfere dell’esercito si preoccuparono di bandire i canti dei pastori e di avallare spiegazioni mediche o meccanicistiche della nostalgia (ad esempio basate sulle differenze di pressione atmosferica tra la Svizzera e gli altri Paesi) che non dessero modo di pensare che i giovanotti svizzeri fossero dei mollaccioni. Lungi dall’esserlo, quei soldati vivevano un’esperienza umana antica, di cui la parola “nostalgia” coglie alcuni aspetti fondamentali: è il dolore dei migranti, in cui il ricordo dorato del passato, della propria origine si accosta stridendo al presente, suscitando un’aspirazione al ritorno. “Potevo spiegare a qualcuno che quel che cercavo era soltanto di vedere qualcosa che avevo già visto?”, si chiede Anguilla, il protagonista del romanzo “La luna e i falò” di Pavese, ritornato dopo tanti anni dall’America al paese in cui è cresciuto, nelle Langhe. Va a rivedere casa sua, pur sapendo che non ci sono più né i familiari né i vecchi servitori.
Qual è dunque il senso di questo volgere lo sguardo all’indietro, di questo desiderio di ritorno? La ricerca psicologica contemporanea ha evidenziato come la nostalgia sia elicitata in corrispondenza di umore negativo, di condizioni di stress intenso, e in modo più pervasivo in quei momenti del percorso di vita in cui vi è una minaccia alla continuità del sé, il pericolo di una frattura rispetto ai capisaldi della propria esistenza. A questa minaccia, la nostalgia contrappone il senso di appartenenza, di valore personale e di amabilità suscitato dal ricordo dei momenti di condivisione, serenità, divertimento, successo, momenti insieme alle persone a cui siamo più legati e in cui ci siamo sentiti amati, felici, vivi. Così facendo, la nostalgia ricrea un senso di pienezza e coesione, consente di avere una base per poter esplorare con più fiducia, ottimismo e creatività le nuove strade che si parano davanti e di avere una maggiore apertura e propensione verso i rapporti sociali e l’empatia.
Nel suo essere rivolta al passato, che in quanto tale è tristemente irripetibile, la nostalgia si rivela, però, una bussola per il presente e per il futuro: permette di non “perdere il filo”, di rimanere in contatto con la propria identità e con i bisogni fondamentali, soprattutto quando si percepisce di essersene allontanati.
Per approfondimenti:
Sedikides, C., & Wildschut, T. (2016). Past forward: nostalgia as a motivational force. Trends in Cognitive Sciences, 20(5), 319-321.
Baldwin, M., Biernat, M., & Landau, M.J. (2015). Remembering the real me: nostalgia offers a window to the intrinsic self. Journal of Personality and Social Psychology, 108(1), 128-147.
Wildschut, T., Sedikides, C., Arndt, J., & Routledge, C. (2006). Nostalgia: content, triggers, functions. Journal of Personality and Social Psychology, 91(5), 975-993.