di Maria Pontillo
Nuove prospettive cliniche e di ricerca
In letteratura, i sintomi negativi sono da sempre riconosciuti come il core della Schizofrenia. Essi giocano un ruolo chiave nell’outcome funzionale del disturbo e si presentano come tra i sintomi più resistenti al trattamento farmacologico.
In una recente revisione della letteratura, elaborata da chi scrive, si è evidenziato come la gravità della sintomatologia negativa sia il predittore di efficacia più significativo negli interventi cognitivo-comportamentali finalizzati alla riduzione delle allucinazioni di comando in pazienti schizofrenici. Nel complesso, dunque, si rende necessario pervenire in ambito clinico e di ricerca a una loro corretta concettualizzazione e operazionalizzazione che consenta, successivamente, la costruzione di interventi terapeutici focalizzati. Tale punto è fortemente sostenuto in una recente concettualizzazione di tale questione clinica, pubblicata su World Psychiatry ed elaborata da Marder e Galderisi, in cui i sintomi negativi vengono definiti come un’assenza o una riduzione di comportamenti ed esperienze soggettive, normalmente presenti in una persona dello stesso ambiente culturale e fascia d’età. Essi includono in particolare anedonia, asocialità, apatia, appiattimento affettivo e alogia. Nel lavoro in questione, ciascuno di questi sintomi negativi viene definito in maniera chiara e inequivocabile. In particolare, l’anedonia è intesa come riduzione nell’esperienza di piacere durante un’attività o dell’aspettativa/anticipazione del piacere derivante da una futura attività. L’asocialità viene invece definita come la ridotta attività sociale accompagnata da un ridotto interesse nel formare relazioni strette con gli altri. L’apatia è definita come riduzione dell’iniziativa e della persistenza nell’attività. Infine, l’appiattimento affettivo è inteso come riduzione dell’espressione delle emozioni e l’alogia come riduzione nella quantità dell’eloquio. Accanto a queste definizioni, il lavoro di Marder e Galderisi sottolinea la necessità di discriminare nella valutazione dei sintomi negativi tra comportamento osservabile ed esperienza interna riferita. Per esempio, rispetto al sintomo asocialità, andrà valutato tanto il comportamento, quindi quanto di fatto il soggetto vive interazioni effettive con gli altri, quanto l’esperienza interna riferita, ovvero il valore che il soggetto attribuisce ai legami sociali stretti e al desiderio che prova nei loro confronti. Uno strumento che si presta bene a tale discriminazione è la Brief Negative Symptom Scale (BNSS) la cui validazione italiana è stata curata dal gruppo del prof. Mario Maj dell’Università di Napoli. Insieme al colloquio clinico DSM-Oriented e ad altri strumenti diagnostici (es. SIPS/SOPS), questa scala consente di accertare la presenza di sintomi negativi e di distinguerli da altre caratteristiche della schizofrenia e disturbi correlati, quali sintomi psicotici, disorganizzazione, disturbi dell’umore, ansia e deficit cognitivi. Non si dimentichi, infatti, che, soprattutto in età evolutiva, i sintomi negativi, concomitantemente a una regressione sul piano cognitivo, possono precedere di anni l’esordio psicotico franco. Una loro corretta individuazione, con strumenti opportunamente validati statisticamente e accettati dalla comunità scientifica, consentirà un intervento precoce e un migliore outcome funzionale.