Curare il presente riscrivendo il passato

di Angelo Maria Saliani

 La tecnica di Imagery Rescripting e il suo razionale

È possibile cancellare deliberatamente un brutto ricordo? È possibile trasformarlo in una storia a lieto fine? È possibile cambiare il passato che ha segnato la vita di una persona e ha posto le basi della sua futura sofferenza emotiva? In un romanzo di fantascienza probabilmente sì, nella realtà no. Eppure la possibilità di intervenire a scopo terapeutico sul passato esiste. La tecnica nota con il nome di Imagery Rescripting (IR) è un chiaro esempio di intervento non diretto alla cura dei sintomi attuali ma agli schemi cognitivo-affettivi che li determinano. Questa tecnica consiste in alcune fasi fondamentali: individuare uno o più episodi sensibilizzanti dell’infanzia di una persona ormai adulta, chiedere al paziente di assumere la prospettiva del bambino che era descrivendo l’episodio doloroso come se lo stesse rivivendo ora, individuare il bisogno frustrato del bambino e introdurre un cambiamento nello svolgimento originale dei fatti che consenta al bambino di sperimentare un senso di agio e sicurezza. In una variante molto suggestiva della tecnica, il cambiamento è reso possibile immaginando che il sé adulto (ossia la persona con l’età e l’esperienza di oggi) entri nella scena traumatica del passato e vi prenda parte attivamente, rassicurando il bambino traumatizzato (ossia se stesso da bambino) e fronteggiando efficacemente l’eventuale adulto maltrattante.
In una recente pubblicazione sugli interventi terapeutici volti alla cura della vulnerabilità remota del disturbo ossessivo, Katia Tenore e Andrea Gragnani citano un lavoro del 2012 in cui Arntz propone una rassegna scientifica sull’applicazione della IR nel trattamento di svariate forme di psicopatologia e uno studio sperimentale di Veale, Page, Woodward e Salkovskis del 2015 in cui si dimostra l’efficacia della IR nella riduzione della sintomatologia ossessivo-compulsiva. La tecnica non sembra perciò essere soltanto suggestiva ma anche efficace.

La domanda, a questo punto, è: posto che cambiare i fatti del passato è impossibile, che lo scopo terapeutico non sta nel persuadere o nell’illudere che le cose siano andate in modo diverso e migliore, e che il paziente sa bene che i cambiamenti introdotti nella narrazione dei suoi ricordi traumatici sono frutto di immaginazione, cosa rende la tecnica IR efficace? E cosa significa davvero riscrivere un ricordo traumatico?

La risposta è relativamente semplice: non è la verità dei fatti a essere riscritta, ma il significato che quei fatti del passato hanno assunto agli occhi del bambino prima (sensibilizzandolo, ad esempio, all’idea di non essere all’altezza delle aspettative di un genitore o di essere responsabile della sua infelicità) e dell’adulto poi. Gli episodi di vita precoci (in particolare, quelli che frustrano i bisogni fondamentali del bambino) sono esperienze da cui originano schemi, convinzioni stabili e centrali su sé e gli altri, timori, strategie per difendersi da essi, piani disfunzionali di vita. Così, ad esempio, episodi reiterati di rimprovero e critica potrebbero favorire lo sviluppo della credenza di essere una persona cattiva e il fermo proposito di prevenire in futuro nuove occasioni di rimprovero e relativi sentimenti di colpa. Riscrivere questa memoria con l’aiuto della IR non ha evidentemente lo scopo di convincersi che in realtà non si è subito alcun rimprovero durante l’infanzia e che tutto è filato liscio, ma magari considerare che quei rimproveri potevano avere a che fare più con l’intransigenza del genitore che con la propria presunta cattiveria.

C’è ancora una domanda a cui rispondere. Perché l’intervento del se stesso adulto nella scena traumatica del passato ha un forte e duraturo potere rassicurante? Talvolta il paziente obietta che non ha senso intervenire da adulti in quella scena, visto che al tempo in cui si svolgevano i fatti l’adulto non esisteva e che il se stesso bambino e il se stesso adulto non potranno mai realmente incontrarsi. Vero: il sé bambino e il sé adulto sono separati da una distanza necessaria e incolmabile. Farli interagire è un artificio, un’acrobazia spazio-temporale che solo la mente è in grado di compiere. È immaginazione. Resta però autentica – e unica – la capacità di quell’adulto di riconoscere e comprendere i bisogni del bambino che era: nessuno può rassicurare quel bambino come il sé adulto, dicendo e facendo esattamente quello di cui ha bisogno. Infine, nessuno potrà esserci sempre, in qualunque istante, come il sé adulto, tutte le volte che il bambino avrà bisogno di lui.

In sintesi, le ragioni per cui la tecnica di IR ha un autentico effetto terapeutico possono essere almeno tre. Prima: consente di guardare agli episodi traumatici del passato da una prospettiva diversa, correttiva, favorendo la scoperta di significati e letture dei fatti fin lì ignorati; seconda: consente all’adulto di accostarsi, comprendere e soddisfare i propri bisogni frustrati di bambino, e soprattutto di fare tutto questo come nessun altro al mondo; terza: il sé adulto è in grado di garantire la propria vicinanza e il proprio conforto sempre – e per sempre -, tutte le volte che sarà necessario. Nessun altro essere umano può realisticamente eguagliare in questi compiti il sé adulto.

Per approfondimenti:
Arntz, A. (2012), “Imagery Rescripting as a Therapeutic Technique: Review of Clinical Trials, Basic Studies, and Research Agenda”. In Journal of Experimental Psychopathology, 3, 2, pp. 189-208.

Tenore K., Gragnani A. (2016), “Il Lavoro sulla Vulnerabilità Storica”. In Mancini F. (a cura di) La mente ossessiva, cap. 19, Raffaello Cortina, Milano.

Veale, D., Page, N., Woodward, E., Salkovskis, P. (2015), “Imagery Rescripting for Obsessive Compulsive Disorder: A single case experimental design in 12 cases”. In Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, pp. 1-7.

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