di Katia Tenore
Il tema del rigore scientifico nell’ascolto del paziente al workshop internazionale sulla psicopatologia sperimentale
Si è recentemente conclusa la terza edizione del Rome Workshop on Experimental Psychopathology (RWEP), l’unico workshop internazionale sulla psicopatologia sperimentale al quale sono orgogliosa di non essere mai mancata. RWEP è un luogo di incontro e di scambio, dove ricercatori e clinici di tutto il mondo possono dialogare, presentando i loro ambiti di indagine e di intervento e sottolineando luci e ombre della psicopatologia.
Ho ascoltato con interesse numerose ricerche volte a mettere in luce i processi di base che generano e mantengono i disturbi mentali e i meccanismi che consentono a una terapia di risultare efficace. Ciò che ha colpito maggiormente la mia attenzione è stato un fortuito e inaspettato fil rouge comune alla maggior parte delle main lectures.
Negli ultimi anni si è osservata spesso la tendenza all’(iper)-scomposizione dei fenomeni psicologici e dei disturbi psichiatrici, che ha portato a una visione puntiforme, che perde completamente di vista la complessità del fenomeno e fallisce nel rispondere a quella domanda che clinici e ricercatori non devono mai dimenticare di porsi: “Cosa ‘passa’ nella testa di questo paziente?”. Durante il workshop, invece, finalmente diversi speakers sono stati concordi nel porre attenzione al vissuto del paziente, all’ascolto del suo dialogo interno e nel ridare dignità a strumenti di indagine self report. Citerò brevemente alcuni esempi. Paul Salvkoskis, dell’Università di Bath (UK), oltre ad aver spiegato il rapporto tra clinica e ricerca, ha espresso un monito verso la presunta superiorità dei metodi “oggettivi”, quali ad esempio il neuroimaging, mostrando una diapositiva dell’attività cerebrale di un salmone atlantico, già trapassato a miglior vita. Nella sua relazione sul ruolo delle compulsioni nel Disturbo Ossessivo Compulsivo, Christine Pourdon, professoressa all’Università di Waterloo, in Canada, ha elegantemente chiesto ai suoi pazienti le ragioni per cui mettono in atto le azioni compulsive e quali sono le loro aspettative. Attraverso l’analisi del dialogo interno, la Pourdon ha osservato che in esso è presente un tono critico, colpevolizzante e minaccioso. Allo stesso modo, Amelia Gangemi, docente all’Università di Messina, riportando il dialogo interno dei pazienti, ha mostrato come gli ossessivi tendano a produrre un ragionamento semi-dialettico, che conduce alla formazione di ulteriori ipotesi di pericolo e a valutare le minacce come più probabili.
Dopo anni passati a descrivere bias e deficit, la psicopatologia sperimentale ha finalmente orientato la sua attenzione verso le motivazioni, spesso grandi assenti della ricerca, che possono essere analizzate soltanto volgendo l’attenzione verso il vissuto e il dialogo interno del paziente.
Concludendo, sono passati tre anni e altrettante edizioni del RWEP e questo evento, che all’inizio si è proposto timidamente sullo scenario internazionale, è oramai cresciuto e diventato maturo, potendo vantare una partecipazione e una qualità sempre crescente. Il tutto in un clima leggero e stimolante che già da ora ci fa attendere con trepidazione la prossima edizione.