Persistere è sempre la strada per la felicità?

di Mauro Giacomantonio

Saper disinvestire dagli scopi irrealizzabili è tanto importante quanto persistere di fronte alle difficoltà

Persistere, insistere, non mollare di fronte alle difficoltà. Questa sembra essere la ricetta della felicità che alcuni film, canzoni e libri suggeriscono. Il mito della persona che non si arrende mai e che, incurante della fatica, del dolore e della bassa possibilità di successo, segue i suoi sogni e le sue aspirazioni, si incarna nell’eroe popolare moderno, da Rocky a Frodo Baggins.

La psicologia ha spesso implicitamente assecondato l’idea dietro a questa immagine eroica, occupandosi dello studio dell’autocontrollo, cioè della capacità di perseguire uno scopo anche quando questo ci costa molti sforzi perché difficile, improbabile o minacciato da altri scopi (cioè da tentazioni). Si è quindi a lungo studiato quali fattori potessero aiutare gli essere umani ad autocontrollarsi, con l’assunzione di fondo che questa fosse la via maestra per il benessere psicofisico.

Ed effettivamente si sono raccolte molte prove del fatto che chi riesce ad autocontrollarsi avrà poi più possibilità di successo negli studi e sul lavoro, relazioni più soddisfacenti e una salute migliore.

Grazie ad alcuni recenti studi, però, sappiamo che questa non è che parte della storia. Cosa significa autocontrollarsi per un ragazzo che viene lasciato dalla sua fidanzata? Insistere e cercare di riconquistarla in modo romanzesco o lasciar perdere, rassegnarsi e, col tempo, cercare l’amore altrove? Cosa significa autocontrollarsi per una persona che viene licenziata? Intentare una lunga causa al datore di lavoro o formarsi per cercare un nuovo lavoro? E per una persona a cui viene diagnosticata una malattia rara? Cercare da solo una cura o rassegnarsi facendo buon viso a cattivo gioco?

Negli esempi riportati sopra, le persone si trovano di fronte a comunissimi eventi della vita in cui alcuni scopi importanti (amore, lavoro, salute) vengono compromessi in modo quasi certamente irrecuperabile.  In questi casi bisogna spesso affrontare un dilemma: continuare a investire energie nello scopo compromesso cercando di recuperare quanto si è perso, oppure disinvestire, abbandonare lo scopo, accettare la perdita e indirizzare l’attenzione su altre strade.

Se la vita fosse un film, il dilemma non esisterebbe, e la via della tenacia oltre ogni limite sarebbe l’unica opzione sul piatto. Ma poiché questa, fortunatamente, non è la realtà, le persone devono ben ponderare se sia veramente conveniente persistere o se non sia meglio disinvestire. Un’interessante filone di ricerca ha mostrato come la capacità di disinvestire sistematicamente di fronte a scopi che sono messi profondamente in discussione e su cui si ha scarso controllo, è altamente benefico. Questo infatti aumenta la capacità di adattarsi agli eventi e permette di raggiungere comunque gli scopi di vita più importanti percorrendo vie alternative. Tornando all’esempio del ragazzo che viene lasciato,  si immagini che stare con Maria (la sua ex) fosse uno scopo e allo stesso tempo un mezzo per provare la sensazione di essere accettato incondizionatamente. Se il ragazzo dovesse decidere di non disinvestire sulla relazione compromessa, continuando a pensare alla ex, alla loro relazione e via dicendo, non solo rischierebbe di non riavere la sua relazione con Maria, ma sarebbe anche bloccato nel perseguimento dello scopo  “sono accettato incondizionatamente”. Se invece riuscisse a rinunciare a Maria definitivamente, potrebbe molto presto trovare un’altra ragazza che lo farà sentire accettato. In altre parole, disinvestire da uno scopo minacciato, apre la strada ad altri scopi che, in ultima istanza, potrebbero portare comunque alla meta finale desiderata.

Il discorso è diverso quando si ha ancora un certo potere di salvare l’obiettivo compromesso, in altre parole un certo grado di controllo sulla situazione. In quel caso persistere, e investire energie potrebbe essere ancora sensato e utile.

Come distinguere i due tipi di situazioni? E quali sono i fattori che possono aiutare le persone nel difficile processo di disinvestimento? Ne parleremo in altri articoli sempre su cognitivismo.com

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