“Ti prego, non lasciarmi!”

di Benedetto Astiaso Garcia

Comprendere e riconoscere il timore dell’abbandono: quali modi di pensare, di sentire, di agire, di percepirsi e di entrare in relazione si celano dietro tale paura?

Il timore dell’abbandono, come illustrato dallo psicoterapeuta Young nel libro “Reinventa la tua vita”, si origina negli anni dell’infanzia e sviluppa modelli comportamentali e relazionali, definiti come “trappole”, destinati a influenzare la percezione di sé e la qualità dei rapporti interpersonali nell’età adulta. Oltre a una connessione con il patrimonio genetico della persona, relazioni con figure genitoriali disfunzionali, trascuranti e imprevedibili affettivamente possono contribuire in maniera significativa alla sviluppo di modelli cognitivi ed emotivi di qualità abbandonica. A partire da un ambiente familiare destabilizzante, iperprotettivo, soffocante, traumatico e poco accudente, il bambino non riesce a rappresentarsi nella propria mente una presenza che si prenda cura stabilmente di lui, non percependosi come autonomo, unico e degno d’amore.
Il sentimento dell’abbandono consiste nella convinzione di perdere le persone amate, obbligando il soggetto a una vita priva di legami affettivi su cui poter contare e fare affidamento. All’interno delle relazioni, inesorabilmente percepite come destinate al fallimento, si cela sempre il timore di essere condannati a rimanere soli, allarmandosi per qualsiasi minaccia di allontanamento o separazione, che sia reale o immaginaria. Tale timore, attivato prevalentemente all’interno delle relazioni intime, induce a interpretare qualsiasi comportamento del partner, anche quello  più innocente, come un’intenzione di abbandono, sviluppando nell’individuo immaginari futuri di disperazione, isolamento, terrificante solitudine e incapacità a provvedere a se stesso. La ferma convinzione che la propria vita dipenda da un’altra persona innesca rapporti interpersonali instabili, turbolenti e travagliati, all’interno dei quali si oscilla tra il desiderio di controllare l’altro, attraverso un attaccamento eccessivo, e la fuga dalle relazioni intime, al fine di prevenire possibili scenari di perdita. Il timore di non ricevere l’affetto di cui si ha bisogno genera cicli emozionali di angoscia, dolore e rabbia, producendo intense manifestazioni di gelosia e possessività, destinate tuttavia ad avverare la più terribile delle profezie temute: rimanere realmente soli. Sabotare le proprie relazioni, infatti, significa rendere reale ciò che maggiormente si vorrebbe fuggire nel proprio immaginario, stancando, aggredendo e mettendo eccessivamente alla prova le intenzioni altrui nei confronti del rapporto interpersonale. All’interno di tale modello, al fine di ricercare un senso di familiarità che rievochi ciò che si è vissuto in passato, vengono favorite relazioni sentimentali precarie, connotate da un attaccamento eccessivo verso il partner, che viene ricattato, punito e accusato continuamente di infedeltà ogni qualvolta il timore di perdita dovesse diventare più forte. Ricercare figure instabili, non disposte a impegnarsi seriamente, emotivamente disturbate e ambivalenti nel comportamento, rappresenta solamente uno dei tipici campanelli d’allarme di tale modello comportamentale.
È possibile superare il timore dell’abbandono modificando i propri “pattern”, ossia le configurazioni emotive e cognitive, autodistruttive e ricorrenti, che impediscono il superamento di tale “trappola”. Oltre al cercare di comprendere ed elaborare dinamiche di abbandono subite in passato, risulta fondamentale monitorare i propri vissuti emotivi di solitudine e perdita, riesaminare i timori ricorrenti all’interno dei rapporti interpersonali, ricercare rapporti positivi e lavorare sul tema della fiducia, della separazione e dell’ambivalenza emotiva vissuta a livello relazionale.

Per approfondimenti:

YOUNG J.E., KLOSKO J.S., “Reinventa la tua vita”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004

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