di Lisa Lari e Stefania Iazzetta
La complessità dei due quadri clinici e della loro interferenza nel funzionamento generale delle persone che ne sono affette
“Disturbo borderline di personalità o disturbo bipolare II? Una revisione della letteratura per andare oltre una lettura categoriale”. Questo il titolo di apertura all’analitica revisione della letteratura che De Sanctis, Varrucciu, Saettoni e Gragnani hanno effettuato per chiarire la controversa questione riguardante alcune manifestazioni cliniche simili e dirimenti del Disturbo Borderline di Personalità (DBP) e del Disturbo Bipolare di tipo II (DB II).
Il lavoro risulterà particolarmente appetibile agli occhi del clinico che si interfaccia a pazienti che presentano, contemporaneamente o separatamente, queste due tipologie di disturbo: nonostante le specificità della variegata espressione clinica dei due disturbi, si possono riscontrare alcune aree sintomatologiche apparentemente simili e sovrapponibili che potrebbero produrre numerose difficoltà sia nell’inquadramento diagnostico sia nella scelta dell’impianto psicoterapico e psicofarmacologico più adeguato alle peculiarità del quadro clinico in oggetto.
Gli autori descrivono le due macroposizioni assunte nel tempo dai ricercatori che si sono dedicati a questo argomento: se da una parte esiste un filone di studi che considera questi disturbi come entità cliniche appartenenti a un medesimo continuum affettivo, dall’altra, si delinea un corpus di opere che, al contrario, valuta i disturbi come l’espressione di due forme cliniche distinte e indipendenti, che possono manifestarsi separatamente o in modo concomitante. In risposta alla letteratura, che vede una stretta connessione tra il DB e il DBP, gli autori focalizzano l’attenzione non solo sui segni e i sintomi ma anche sul funzionamento cognitivo dal quale derivano particolari pattern emotivi e comportamentali.
È apprezzabile come gli autori, a differenza di altri studi su questo argomento, abbiano focalizzato l’attenzione sugli stati mentali “che raccontano una storia molto diversa” perché mostrano quanto l’assetto cognitivo della persona con DB si differenzi da quella con DBP. Si dà, quindi, rilievo a quanto la comprensione profonda delle dinamiche interne del paziente sia fondamentale nel lavoro psicoterapico, in modo da andare oltre la mera descrizione delle diverse manifestazioni sintomatologiche.
Questo approccio consente di descrivere e distinguere il diverso funzionamento delle due tipologie di disturbi e di strutturare interventi di trattamento specifici e ad personam.
Un altro aspetto di indubbia utilità per la pratica clinica è l’individuazione, da parte degli autori, delle specificità dei disturbi nelle due aree di sovrapposizione sintomatologica, che sono l’una relativa all’instabilità affettiva e l’altra concernente l’impulsività. Sono stati selezionati gli studi basati sul confronto tra gruppi clinici e di controllo che utilizzavano test di valutazione validati e specifici per l’indagine del costrutto dell’instabilità affettiva e dell’impulsività. Vengono quindi descritti, in modo approfondito, i due gruppi di strumenti, presi in considerazione nelle ricerche selezionate, finalizzati alla misurazione dell’instabilità affettiva e, più precisamente, degli eventuali cambiamenti dallo stato di base verso uno specifico vissuto emotivo, e della presenza o assenza delle componenti fondanti il costrutto dell’impulsività.
Dopo aver differenziato il concetto di instabilità emotiva da quelli di labilità e disregolazione emotiva, vengono descritti i tre studi selezionati che mettono in evidenza come tra le due categorie diagnostiche emergano delle differenze nella velocità di cambiamento, nella reattività interpersonale, nella modulazione e nella valenza affettiva per il DBP da eutimia verso ansia, depressione e rabbia mentre, per il DB, da eutimia a euforia e depressione.
Secondo la nostra prospettiva, è importante sottolineare quanto la componete emotiva e la sintomatologia che ne deriva siano uno dei principali “bersagli” di interventi terapeutici quali, ad esempio, i sets di skills di tolleranza della sofferenza e di regolazione emotiva della DBT per il DBP e i gruppi di psicoeducazione per il DB.
Anche rispetto all’impulsività, gli autori concludono che questa si esprime con sfumature differenti nei due quadri clinici. Nell’impulsività cognitiva (velocità di processamento delle informazioni) i pazienti con DBP riportano una maggiore velocità di processamento con scarso funzionamento delle funzioni attentive e una evidente difficoltà nel riflettere sulle conseguenze di alcune loro scelte (mancanza di premeditazione). Il DB II mostra, invece, un’impulsività cognitiva che si manifesta con una mancanza di concentrazione, un’elevata distraibilità e la presenza di disorganizzazione ideica. Inoltre, la mancanza di persistenza (problemi nel mantenersi impegnati in contesti) è permanente nel DBP mentre nel DB II sembra essere dipendente dalla tonalità affettiva in atto. Anche se questa dimensione ha caratteristiche diverse nei due disturbi, riteniamo indispensabile che il clinico strutturi precocemente un piano di intervento per tutti quei pattern comportamentali potenzialmente pericolosi che derivano dall’impulsività stessa.
In conclusione, questo lavoro di analisi contribuisce a semplificare l’inquadramento diagnostico e la scelta di interventi farmacologici e psicoterapici maggiormente specifici ed efficaci.
Per approfondimenti:
De Sanctis B. e coll., 2017. Disturbo borderline di personalità o disturbo bipolare II? Una revisione della letteratura per andare oltre una lettura categoriale. Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale. Vol. 23, n. 2, 2017 (pp. 165-180). Edizioni Erickson – Trento.