di Monica Mercuriu
Anche per i più superbi c’è una speranza di consapevolezza
Per superbia [dal lat. superbia, der. di superbus «superbo»] s’intende un’esagerata stima di sé e dei propri meriti (reali o presunti), che si manifesta esteriormente con un atteggiamento altezzoso e sprezzante e con un ostentato senso di superiorità nei confronti degli altri.
Nella teologia cattolica, è uno dei sette peccati capitali e consiste in una considerazione talmente alta di se stessi da giungere al punto di stimarsi come principio e fine del proprio essere, disconoscendo, così, la propria natura di creatura di Dio e offendendo quindi il Creatore. La superbia sarebbe quindi un desiderio ordinato secondo lo spirito del male, e causerebbe la morte dell’anima.
La connotazione sociale della superbia è anch’essa negativa, essere superbo o comportarsi da superbo non rende la persona che mostra tale atteggiamento apprezzabile né socialmente piacevole e spesso suscita sentimenti ed emozioni d’invidia, disprezzo e distacco emotivo negli altri.
Ma la superbia è così negativa e dannosa?
Arthur Schopenhauer, negli “Aforismi per una Vita Saggia”, descriveva con chiarezza la differenza tra superbia e vanità. Queste due, insieme all’ambizione, sarebbero il frutto della nostra insensata e naturale stoltezza, la propensione dell’uomo a considerare ciò che gli altri pensano di noi, molto più importante di quanto in realtà non lo sia.
La superbia, è la convinzione già esistente, della propria superiorità in un senso o nell’altro; la vanità è il desiderio di suscitare questa convinzione negli altri, accompagnato dalla speranza di riuscire a farla propria. Il superbo, secondo Schopenhauer, possiede una grande stima di se stesso che procede dall’interno ed è diretta, mentre il vanitoso aspirerebbe a ottenerla dall’esterno, cioè indirettamente.
A livello sociale ne consegue che il superbo spesso sarà taciturno e il vanitoso loquace: lo stesso autore esorta il vanitoso a tenere in considerazione che, per ottenere la stima degli altri e il loro apprezzamento, a volte è necessario tacere, pur avendo ottimi e invitanti argomenti da discutere.
Superbo non è chi non vuol esserlo, tutt’al più si può fare i superbi, col rischio di crollare miseramente durante questo tentativo e collezionare una serie di brutte figure che intaccherebbero comunque la propria immagine.
Il vero superbo è colui che intimamente crede di valere di più, di possedere doti superiori agli altri: questa convinzione incrollabile, salda e intima, può essere errata o puramente basata su elementi convenzionali o estetici, ma esiste sin da principio e si contrappone alla vanità di chi cerca plauso negli altri per costruirci sopra un’immagine positiva e un’alta opinione di sé.
Nonostante la superbia sia condannata e considerata puramente negativa, Schopenhauer suggerisce a chi possegga una qualche dote spiccata di tenerla sempre presente, perché questa non vada dimenticata; comportarsi con troppa accondiscendenza nei confronti dei pari, pur avendo doti reali e innate, rende l’individuo uguale agli altri e questo permette ai pari di trattarlo e considerarlo come uno di loro.
Tenere sempre presente una dote innata e reale, in alcune circostanze, potrebbe costituire anche un vantaggio e se si teme di eccedere con l’intensità e la quantità di superbia si può sempre far ricorso a un pensiero alternativo.
Nell’antica Roma, quando un generale rientrava nella città dopo un trionfo bellico e sfilando nelle strade raccoglieva gli onori che gli venivano tributati dalla folla, correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle smanie di grandezza. Per evitare che ciò accadesse, un servo dei più umili veniva incaricato di ricordare all’autore dell’impresa la sua natura umana: lo faceva pronunciando la frase “memento mori” (“ricordati che devi morire”).
Quindi anche per più superbi, forse una speranza esiste, e come suggeriva Massimo Troisi nel film “Non ci resta che piangere”, segnarselo potrebbe essere di aiuto.
Per approfondimenti:
Schopenhauer, Arthur. Aforismi per una vita saggia. Bur, 2013.